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Cronache dal workshop di Berlino

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Economia e politica ha pubblicato una piccola cronaca di alcuni aspetti del workshop di Berlino. Impressioni da Berlino Sergio Cesaratto Il 7 e 8 giugno ho avuto la fortuna di partecipare a un workshop sulla riforma dell’eurozona organizzato da economisti post-keynesiani e sostenuto da fondazioni di area SPD/sinistra SPD. Due presentazioni hanno particolarmente attirato la mia attenzione, non a caso di due studiosi tedeschi vicini all’establishment. Essi esprimono la filosofia “riformatrice” (sic) dell’attuale governo tedesco. Il resto non mi ha invece impressionato, a parte la buona volontà di alcuni economisti tedeschi post-keynesiani (e un battibecco finale di cui dirò). Gli economisti francesi, spagnoli e portoghesi mi sono sembrati molto accondiscendenti nei confronti

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Economia e politica ha pubblicato una piccola cronaca di alcuni aspetti del workshop di Berlino.


Impressioni da Berlino
Sergio Cesaratto
Il 7 e 8 giugno ho avuto la fortuna di partecipare a un workshop sulla riforma dell’eurozona organizzato da economisti post-keynesiani e sostenuto da fondazioni di area SPD/sinistra SPD.
Cronache dal workshop di Berlino
Due presentazioni hanno particolarmente attirato la mia attenzione, non a caso di due studiosi tedeschi vicini all’establishment. Essi esprimono la filosofia “riformatrice” (sic) dell’attuale governo tedesco. Il resto non mi ha invece impressionato, a parte la buona volontà di alcuni economisti tedeschi post-keynesiani (e un battibecco finale di cui dirò). Gli economisti francesi, spagnoli e portoghesi mi sono sembrati molto accondiscendenti nei confronti della situazione attuale.

Il primo dei due studiosi, l’economista Jeromin Zettelmeyer, è uno dei firmatari dell’in/famous  documento dei 14 economisti franco-tedeschi (Bénassy-Quéré et al 2018). Per una analisi critica del documento rimando a quanto ho già scritto in merito su Il Fatto Quotidiano (Cesaratto 2018a). La filosofia di fondo che emerge dal documento è la subordinazione di ogni sostegno in caso di crisi del debito sovrano a una ristrutturazione del medesimo, che comprende in particolare un taglio del debito stesso a sfavore del settore privato. Insomma, ciò che si intende rafforzare è la disciplina dei mercati sulle politiche fiscali nazionali. L’ispirazione di questa posizione è da rintracciarsi nell’altrettanto in/famous  non-paper di Wolfgang Schauble, la risposta tedesca alle proposte di Macron (v. Cesaratto, S. (2018b) qui).
Questo era, in verità, quanto avevano già in mente anche gli estensori del Trattato di Maastricht (che in sovrappeso misero anche i noti paletti su deficit e debito). I mercati, tuttavia, abdicarono al ruolo a loro attribuito di sanzionatori della disciplina fiscale. Fino alla crisi, infatti, essi si attesero razionalmente che nessun paese membro sarebbe stato lasciato fallire, pena la sopravvivenza dell’euro. La sicurezza di un bail-out europeo condusse così alla convergenza dei tassi della periferia europea, inclusi quelli italiani, al livello tedesco. L’obiettivo corrente sarebbe dunque quello di demolire questa aspettativa, imponendo la logica del bail-in. Questo non potrà dunque che portare a una divergenza fra i tassi, ad esempio italiani, rispetto a quelli tedeschi. Tale divergenza si farebbe assai più marcata proprio nel caso di una crisi di fiducia: gli alti tassi sancirebbero a quel punto l’insostenibilità del debito di quel paese, così costretto al default e alla ristrutturazione del debito. Come questo possa rafforzare l’euro, o invece non affossarlo definitivamente, non è dato sapere. Ulteriore elemento di quest’approccio è la subordinazione dei limitati aiuti europei al rispetto delle regole fiscali e alle “riforme strutturali”. Circa tali aiuti, Berlino li gradisce attualmente nella forma di un fondo di investimento di una manciata di miliardi distribuiti su svariati anni - piuttosto che nella forma di un fondo di sostegno alla disoccupazione ciclica perorato nel documento dei 14 economisti e sostenuto dalla Francia.[1]
Il secondo paper è del giurista Christian Calliess (2018). Questi esordisce evidenziando con chiarezza il sistema duale per difendere la stabilità dell’euro adottato a Maastricht, in linea con quanto già anticipavamo più sopra:
-          un approccio basato sulle regole (e relative sanzioni)
-          un approccio basato sul mercato (e relative sanzioni)[2]
Ambedue gli approcci avrebbero fallito nel portare disciplina fiscale. L’idea è dunque di combinare il rafforzamento della sanzione di mercato, con quello del controllo diretto delle istituzioni europee sull’applicazione delle regole fiscali da parte dei Paesi. La direzione è dunque quella di esautorare i Paesi membri della sovranità fiscale. Nella proposta di Calliess – che possiamo supporre piuttosto indicativa di ciò che si discute in Europa - questo avverrebbe attraverso il combinato disposto della costituzione di un Ministero del Tesoro dell’euro area (MTE) e della trasformazione del MES (l’attuale fondo europeo salva-Stati) in un Fondo Monetario Europeo (FME) con poteri più ampi e intrusivi. La prima idea piace forse di più ai francesi, ed è contenuta nelle proposte dei Cinque Presidenti (2015); la seconda piace di più ai tedeschi. L’MTE sembra alludere a una limitata condivisione dei rischi; il FME a una sostanziale condivisione della sovranità fiscale. I poteri che potrebbero essere attribuiti all’MTE, anche attraverso il FME, appaiono impressionanti (ibid, pp. 3-4); fra questi:
-          presiedere il FME
-          sorvegliare il coordinamento della politica fiscal ed economica, in particolare monitorare e far rispettare il “semestre europeo” [lo scadenzario degli impegni di bilancio dei membri dell’euro area]
-          negoziare e sostenere i processi di riforma nei Paesi membri attraverso misure amministrative e finanziarie
-          gestire le crisi dell’euro area e controbilanciare gli shock macroeconomici asimmetrici attraverso una “capacità fiscale” [risorse di bilancio]
-          decidere in merito alla chiusura di istituti bancari
-           
L’impiego della “capacità fiscale” è significativamente disegnato in modo che “I trasferimenti netti a ciascun Stato Membro siano vicini allo zero” (ibid, p. 4) - vale a dire, si contribuisce quando non si ha bisogno e si preleva quando occorre. Ma non solo: l’attivazione di tale capacità fiscale è subordinata a un significativo livello di convergenza fiscale -  che è ancora da definirsi, ma che rende l’idea che si parla di promesse a cui si potrà accedere dopo dolorosi aggiustamenti, in particolare per Paesi come l’Italia (aggiustamenti che, sottolineiamo, plausibilmente allontaneranno dalla convergenza medesima).
Gli enormi poteri combinati di MTE e FME si manifestano in maniera eclatante nel potere che avrebbero nelle procedure di insolvenza che “preparerebbero e implementerebbero”:
Al riguardo, il MTE assieme al FME dovrebbero essere attrezzati con strumenti graduali di intervento nei bilanci nazionali includendo – come ultima ratio – la preparazione e l’attuazione dell’insolvenza di uno Stato membro. Lo sviluppo di una procedura di insolvenza non rappresenta solo l’ultima istanza di un debito sovrano eccessivo, ma è anche cruciale per la credibilità dell’intero sistema. Nel quadro in un default sovrano istituzionalizzato il FME potrebbe assicurare crediti a tempo nel caso di assenza di sostenibilità del debito al fine di assicurare, nell’interesse della stabilità finanziaria dell’Euro Area come un tutto, una insolvenza strutturata dello Stato membro interessato. (ibid, p. 4)
Il paper discute poi della natura istituzionale del MTE, se collocata in un contesto intergovernativo – la soluzione favorita dalla Germania che potrebbe così mantenere il potere di veto – ovvero nell’ambito della Commissione, più propensa alla mediazione politica fra le diverse istanze nazionali.
La natura inquietante di queste proposte emerge anche nei riguardi del controllo parlamentare sulle nuove istituzioni.  Tale controllo potrebbe essere esercitato dai membri del Parlamento Europeo dei soli Paesi dell’euro area, o dai delegati dei parlamenti nazionali, o potrebbe essere costituita una “terza camera” mischiando le due soluzioni. Il problema per l’autore non è però quello di assicurare tale controllo, quanto piuttosto quello di limitarlo, ovvero di come impedire che parlamenti nazionali, o eventuali maggioranze nelle istanze parlamentari europee blocchino le decisioni di MTE e FME. Si giunge così a prefigurare meccanismi che limitino tale potere di veto (per esempio che un veto di un singolo parlamento nazionale abbia il consenso di almeno un terzo degli altri parlamenti europei). Di più, il MTE dovrebbe poter interferire nelle leggi di bilancio nazionali al punto di imporre in maniera vincolante ai Paesi che infrangessero i vincoli fiscali un saldo di bilancio di sua scelta e addirittura, nel caso di un Paese che partecipa a un programma di aiuti (MES o FME), decidere l’allocazione stessa delle risorse di bilancio (cioè decidere tutto, quanto e come si spende). Del resto, commenta cinicamente il paper, un Paese che partecipa a un programma di salvataggio “ha già perduto la sua autonomia di bilancio” (ibid, p. 11).
Come conclude il paper, le proposte non sono per “più Europa”, ma per un funzionamento migliore dell’Europa così com’è (dunque basata sulle due regole esposte all’inizio). Come persino una collega italiana che era con me, tiepida critica dell’Europa, è sbottata a dire: altre regole, regole su regole - una Sagrada Familia di regole che non assale i problemi e che anzi, rende l’Europa sempre più invasiva, odiosa e antidemocratica, e veicolo di crescente diseguaglianze.
Nella discussione della presentazione di Zettelmeyer vi è stato un acceso battibecco fra l’ottimo Peter Bofinger – l’unico keynesiano dei “cinque saggi” consiglieri del governo tedesco in materia economica. Bofinger ha con con forza ribadito la necessità di una mutualizzazione dei debiti e di una politica fiscale europea finalizzata agli investimenti pubblici, criticando l’ingegneria finanziaria del documento dei 14 economisti. Si tratta purtroppo di voci isolate.
Ah, come ho reagito io? A Calliess ho spiegato che è l’impianto monetarista su cui è basato l’approccio duale alla stabilità dell’unione monetaria (mercato e regole) che va messo in discussione, e detto che se questa è l’Europa, prima salta meglio è. A Zettelmeyer ho ricordato che se le proposte al governo italiano sono queste, beh si sta scherzando col fuoco. Ciò detto, nel paper preparato con Gennaro Zezza abbiamo ripreso la proposta del tutto ragionevole di stabilizzare il rapporto debito/Pil, obiettivo che se i tassi di interesse sono mantenuti sufficientemente bassi è compatibile con una moderata espansione fiscale (v. la Lettera degli economisti del lontano 2010).
Ci sarà presto un e book con una sintesi di tutti gli interventi.

Riferimenti
Bénassy-Quéré, A.,, M Brunnermeier, M., H Enderlein, H.,  E Farhi, E.,  M Fratzscher, M.,  C Fuest, C., P-O Gourinchas, P-O.,  P Martin, P.,  J Pisani-Ferry, J.,  H Rey, H., I Schnabel, , I., N Véron, N., B Weder di Mauro, B., J Zettelmeyer, J. (2018), Reconciling risk sharing with market discipline: A constructive approach to euro area reform, «CEPR Policy Insight», n. 91.
Cesaratto, S. (2018a), Tragico ma non serio: il surreale documento dei 14 economisti franco-tedeschi , Il Fatto Quotidiano, http://politicaeconomiablog.blogspot.com/2018/01/tragico-ma-non-serio-il-surreale.html
Cesaratto, S. (2018b), Chi non rispetta le regole? Italia e Germania: le doppie morali dell’euro, Imprimatur, Reggio Emilia.

Calliess, Christian (2018) Constitutional Reform Options in the Euro Area Contribution to the Workshop on Euro-Reforms: Twin Reforms: EMU Reforms and “Structural Reforms”  Berlino, 7-8 giugno, mimeo.
The Five Presidents' Report (2015) Completing Europe's Economic and Monetary Union, https://ec.europa.eu/commission/publications/five-presidents-report-completing-europes-economic-and-monetary-union_en


[1] Anche questa misura è ridicolmente minimale: un contributo dello 0,25% del Pil per ogni punto di PIL perso durante una crisi, da ricavarsi da un fondo a cui tutti i paesi contribuiscono. L’idea è che questo “rainy day fund” sia creato negli anni buoni, e utilizzato negli anni cattivi. V’è qui l’idea della disoccupazione come fattore ciclico e non strutturale - che è invece il vero problema della periferia europea. Inoltre possono accedervi solo i paesi in regola con i parametri fiscali. Ora, non si deve essere geni per intuire che un Paese inguaiato starà anche probabilmente violando i parametri. Ma la ragione non è di casa in Europa.
[2] “Gli Stati membri dell’Eurozona sono sanzionati attraverso i mercati finanziari con più alti tassi di interesse sui loro titoli pubblici nel caso di un crescente indebitamento governativo” (Calliess, 2018, p. 2, mia traduzione).
Sergio Cesaratto
Sergio Cesaratto (Rome, 1955) studied at Sapienza, where he graduated under the direction of Garegnani in 1981 and received his doctorate in 1988. He obtained a Master's degree in Manchester in 1986. He worked as a researcher at CNR where he was of Innovation Economics. In 1992 he became a researcher at La Sapienza, and then associate professor in Siena where he teaches Economic Policy and Development Economics.

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