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Inflazione, elezioni e conflitto

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CRISI UE/ “L’inflazione si batte con la fine della guerra, non con la recessione” da Il sussidiario, Pubblicazione: 03.08.2022 - int. Sergio Cesaratto L’economia italiana è andata meglio del previsto, ma ci sono nubi all’orizzonte, senza dimenticare che a fine settembre ci saranno le elezioni A giugno il tasso di occupazione in Italia è arrivato al 60,1%, un dato che non si vedeva dal 1977. E proprio il secondo trimestre ha fatto segnare, nelle stime dell’Istat, un rialzo del Pil pari all’1% rispetto ai primi tre mesi dell’anno, superiore quindi a quello medio

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CRISI UE/ “L’inflazione si batte con la fine della guerra, non con la recessione”

sussidiario, Pubblicazione: 03.08.2022 - int. Sergio Cesaratto

L’economia italiana è andata meglio del previsto, ma ci sono nubi all’orizzonte, senza dimenticare che a fine settembre ci saranno le elezioni

A giugno il tasso di occupazione in Italia è arrivato al 60,1%, un dato che non si vedeva dal 1977. E proprio il secondo trimestre ha fatto segnare, nelle stime dell’Istat, un rialzo del Pil pari all’1% rispetto ai primi tre mesi dell’anno, superiore quindi a quello medio dell’Eurozona (+0,7%). «Evidentemente – ci dice Sergio Cesaratto, professore di politica monetaria europea all’Università di Siena – il sostegno della spesa pubblica, in particolare l’onda lunga del superbonus, non è venuto meno a fronte di difficoltà della componente estera e dell’agricoltura, colpita dalla siccità. Anche il turismo tira. Tutti desideriamo dimenticare il Covid, la guerra e fuggire dal cambiamento climatico (aggravandolo).

Ricordiamo poi che il tasso di crescita del 4,6% del secondo semestre 2022 è una media annua che tiene conto, “acquisisce” come si usa dire, la crescita robusta dei secondi due semestri del 2021. Si notava sul Corriere della sera anche la versatilità delle imprese italiane che di dimensioni più piccole, diversificate, con “catene del valore corte”, con produzioni di nicchia e spesso di lusso, capaci di muoversi con rapidità da un mercato all’altro, si adatterebbero meglio alle turbolenze dei mercati rispetto ai colossi d’oltralpe, più rigidi e con catene commerciali a monte e a valle difficilmente modificabili. Un antico argomento se ben ricordo anche evocato da Marcello De Cecco il quale non mancava tuttavia di evidenziarne i limiti (come elevata evasione fiscale, ricorso al lavoro nero, bassa R&S e produttività)».

Come pensa che andranno le cose nei prossimi trimestri?

Le prospettive non sono rosee, con l’economia americana in recessione e le nubi sull’economia tedesca fortemente dipendente dal gas russo (e noi fortemente dipendenti da essa). In America l’aumento dei tassi ha inciso su settore immobiliare e spesa delle famiglie, mentre la spesa pubblica non ha sostenuto l’economia. Vorrei osservare che la spesa pubblica è un sostegno necessario all’economia in ogni circostanza. Essa non è necessaria solo nelle recessioni, anzi un suo calo è una causa di recessione. In Europa dovremo comunque sganciarci dalle strategie belliciste americane e darci una prospettiva di pace con la Russia. Qui la questione non è se fornire o meno armi (difensive) all’Ucraina, che ha il sacrosanto diritto di difendersi, ma come collocare queste forniture in una prospettiva di trattative. Gli Stati Uniti ci stanno conducendo in una situazione di perenne conflitto.

Se guardiamo alla Germania sembra che dobbiamo temere per l’inverno e gli approvvigionamenti energetici, se ascoltiamo il ministro Cingolani pare invece che siamo già al riparo da razionamenti. Lei cosa ne pensa?

Non mi avventuro in terreni che non conosco bene. Diamo atto al Governo Draghi di un certo attivismo energetico, ma la situazione rimane precaria se non si risolve il conflitto. Indipendentemente dalla crisi energetica corrente, la priorità dovrebbe essere la riduzione delle emissioni e l’ampliamento delle fonti pulite. Il cambiamento climatico in atto è drammatico. L’opinione pubblica è però insensibile, comunque impotente. Il nostro modello di sviluppo è insostenibile. Ma vallo a cambiare!

La Fed non esclude di rivedere il ritmo e l’entità dei rialzi dei tassi, anche perché gli Usa sono entrati in recessione tecnica. Questo cambierà qualcosa nelle scelte della Bce che a luglio ha effettuato il primo rialzo dopo 11 anni in una misura superiore a quanto previsto solo un mese prima?

È quasi inutile continuare a discuterne: la politica monetaria e fiscale sono strette fra la Scilla della recessione e la Cariddi dell’inflazione. Si deve cercare di mediare accettando un tasso di inflazione più elevato per preservare l’occupazione. Quello che mi dà fastidio è che si giustifichi la lotta all’inflazione con la tutela del potere d’acquisto dei ceti più deboli. Per i lavoratori è peggio la disoccupazione dell’inflazione, ovvero meglio un reddito decurtato che un reddito zero. E i pensionati un reddito comunque ce l’hanno. Si accentui la lotta all’evasione per compensare lavoro dipendente e pensionati. Ma gli italiani voteranno a maggioranza per i partiti pro-evasione e lobby varie.

Considerando anche la natura diversa dell’inflazione sulle due sponde dell’Atlantico, oltre che le differenze negli Statuti delle due banche centrali, in Europa c’è il rischio che si arrivi a causare una recessione nel tentativo di contenere l’inflazione?

La nota differenza fra Stati Uniti ed Europa è che nei primi l’inflazione è stata generata dalla crescita della domanda, non solo dall’aumento dei prezzi dell’energia e prodotti industriali importati, mentre in Europa ha agito soprattutto la seconda causa. Lo strumento per contenere l’inflazione è però il medesimo: generare una recessione. Può darsi che i rincari si stiano fermando, c’è qualche pallido segno di riduzione dell’inflazione, ma l’aumento del costo dell’energia e i suoi effetti sui prezzi a valle rimangono. Intendo dire che la decurtazione del potere d’acquisto è definitiva. Il ripristino di condizioni di convivenza pacifica in Europa rimane la questione chiave. Allora quei costi potrebbero anche tornare indietro. Più che con la recessione in Europa l’inflazione si batte cessando il conflitto.

Cosa pensa dello scudo anti-spread, il Tpi, recentemente approvato dalla Bce? Potrà aiutare l’Italia in caso di fiammate dello spread?

È stato poco osservato come il Transmission Protection Instrument assomigli al famigerato Securities Markets Programme, il programma di acquisti di titoli pubblici dei Paesi che allora furono cortesemente definiti Pigs dai Paesi nordici che la Bce varò nel 2010 e che per la sua mole limitata fu del tutto inefficace. Acquistò nel complesso poco più di 200 miliardi di titoli. Solo la minaccia di Draghi di acquisti illimitati nel 2012, e gli acquisti cospicui col Quantitative easing cominciato nel 2015 incisero effettivamente sugli spread. Già spread sopra i 200 punti come attualmente risultano un carico insopportabile per le finanze pubbliche italiane. Il rialzo dei tassi da parte della Bce deve essere accompagnato da un’azione più incisiva perché esso avvenga con spread fra Btp e Bund in diminuzione. Certo, ha ragione Fortis a dire che l’instabilità politica italiana e l’inaffidabilità di certe forze politiche ci mettono del loro. Ma fra la codardia ossequiosa verso istituzioni e vincoli europei tipica delle forze politiche “responsabili”, e l’avventurismo del centro-destra, dovrebbe emergere una via di mezzo, anzi di sinistra, che non c’è. E quindi ci teniamo gli spread sopra 200 come monito europeo a comportarci bene. Purtroppo dall’Europa continuiamo ad aspettarci poco. Gli arcigni professori tedeschi hanno fatto ora ricorso alla Corte Costituzionale tedesca contro il Recovery Fund. Lo perderanno, ma l’Alta corte tedesca sentenzierà che il Ngeu è giustificato in emergenza, ma mai dovrà diventare una forma stabile di europeizzazione degli investimenti.

In una precedente intervista ci aveva detto che, tramite l’andamento dello spread, ci sarebbe stato il tentativo di condizionare il voto degli italiani. Questo prima delle dimissioni di Draghi e della decisione di indire elezioni anticipate. Il suo pronostico cambia? E pensa ancora in un Draghi-bis dopo il voto?

Bah, con Draghi legittimamente ancora in sella era una possibilità. Draghi mi sembra bruciato, e neanche lui ne vorrà più sapere. Avremo il centro-destra al Governo. È un’incognita. Agiranno sotto la sferza degli spread, tanto più se adotteranno le politiche demagogiche che si promettono. Cercheranno consensi con misure anti-immigrazione e cose del genere. Certo è loro estranea una cultura riformista in senso sociale. Sarebbe stato auspicabile che, alla sinistra del Pd, il M5S e la sinistra radicale avessero dato vita a un’alleanza con una forte impronta sociale e riformista, avente come obiettivo salvaguardia dello stato sociale e dell’istruzione pubblica, più ragionevoli politiche europee, uno sviluppo industriale e turistico sostenibile, l’educazione ambientale e la sperimentazione di nuovi stili di vita, l’integrazione degli immigrati e la regolazione dei flussi attraverso aiuti umanitari. E con una proposta di politica estera che, muovendo dal riconoscimento degli errori compiuti dalla Nato dalla caduta dell’Urss, propugni l’autonomia politica e militare europea dagli Stati Uniti, accompagnando il sostegno all’Ucraina e la richiesta di un cessate il fuoco alla rapida definizione di un nuovo quadro di sicurezza reciproca in Europa.

Le elezioni anticipate si terranno in un momento cruciale, in un periodo in cui normalmente si mette a punto la Legge di bilancio. Riuscirà a farla il nuovo Governo? La farà Draghi? O scatterà l’esercizio provvisorio?

Questo non lo so. Deciderà chi vince le elezioni. Se litigheranno sulle poltrone lasceranno forse fare al Governo in carica che non potrà che confermare gli obiettivi di bilancio già fissati in primavera senza grandi manovre. Anche il Decreto aiuti-bis mi sembra si stia prefigurando in questo quadro. La Bce lascerà che gli spread ci disciplinino. 

(Lorenzo Torrisi)

Sergio Cesaratto
Sergio Cesaratto (Rome, 1955) studied at Sapienza, where he graduated under the direction of Garegnani in 1981 and received his doctorate in 1988. He obtained a Master's degree in Manchester in 1986. He worked as a researcher at CNR where he was of Innovation Economics. In 1992 he became a researcher at La Sapienza, and then associate professor in Siena where he teaches Economic Policy and Development Economics.

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