Summary:
Pubblichiamo il mio intervento all'incontro di cui ai due post precedenti. La registrazione è qui* (gli interventi sono distinti per nome, h/t a Radio radicale). Tutte le relazioni sono state interessanti, di grande livello, e convergenti; discussant e soprattutto dibattito piuttosto deludenti (tranne Domenico Moro e sebbene con una prospettiva ben diversa Onofrio Romano); i due politici (a parte Fassina) molto deludenti (a parte la loro presenza fuggitiva). Ciò che mi colpisce è che fra il popolo della sinistra del 2% e i politici che esprime da un lato, e l'intellighenzia di sinistra dall'altro vi sia ora uno iato, come testimonia per esempio questa intervista a Streeck. Anna Falcone ha fatto affermazioni del tipo: «Il capitalismo globale non si può contrastare se non con un'operazione
Topics:
Sergio Cesaratto considers the following as important: 9 settembre 2017, Campidoglio, euro, Europa, falcone, Fassina, Italia, Roma, sinistra
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Pubblichiamo il mio intervento all'incontro di cui ai due post precedenti. La registrazione è qui* (gli interventi sono distinti per nome, h/t a Radio radicale). Tutte le relazioni sono state interessanti, di grande livello, e convergenti; discussant e soprattutto dibattito piuttosto deludenti (tranne Domenico Moro e sebbene con una prospettiva ben diversa Onofrio Romano); i due politici (a parte Fassina) molto deludenti (a parte la loro presenza fuggitiva). Ciò che mi colpisce è che fra il popolo della sinistra del 2% e i politici che esprime da un lato, e l'intellighenzia di sinistra dall'altro vi sia ora uno iato, come testimonia per esempio questa intervista a Streeck. Anna Falcone ha fatto affermazioni del tipo: «Il capitalismo globale non si può contrastare se non con un'operazione
di grande democratizzazione globale» e poi «Tutto il mondo deve essere
aiutato a vivere laddove le popolazioni decidono liberamente di vivere». Pippo Civati che dopo la costituente italiana (della sinistra) faremo la costituente europea. Dove si va con questo cosmopolitismo? Alcuni interventi (Francescato, Romano) hanno sollevato il problema ambientale, che è certamente un'emergenza più che seria. Tuttavia, affermazioni del tipo "torniamo a una economia di sussistenza" o "blocchiamo gli investimenti" mi sembra non aiutino una chiarificazione. Così come dare contro lo Stato nazionale in nome di un globalismo astratto. Certamente il problema ambientale è globale, ma è al riguardo necessaria un'analisi geopolitica sugli interessi che si muovono in campo ambientale e su come muoversi. Lo Stato nazionale democratico è strumento di azione per costruire la cooperazione azione e internazionale sulla base del consenso del proprio popolo. La denuncia non basta, serve più analisi, anche da parte degli economisti naturalmente.Pubblichiamo il mio intervento all'incontro di cui ai due post precedenti. La registrazione è qui* (gli interventi sono distinti per nome, h/t a Radio radicale). Tutte le relazioni sono state interessanti, di grande livello, e convergenti; discussant e soprattutto dibattito piuttosto deludenti (tranne Domenico Moro e sebbene con una prospettiva ben diversa Onofrio Romano); i due politici (a parte Fassina) molto deludenti (a parte la loro presenza fuggitiva). Ciò che mi colpisce è che fra il popolo della sinistra del 2% e i politici che esprime da un lato, e l'intellighenzia di sinistra dall'altro vi sia ora uno iato, come testimonia per esempio questa intervista a Streeck. Anna Falcone ha fatto affermazioni del tipo: «Il capitalismo globale non si può contrastare se non con un'operazione
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Sergio Cesaratto considers the following as important: 9 settembre 2017, Campidoglio, euro, Europa, falcone, Fassina, Italia, Roma, sinistra
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Sergio Cesaratto, La sinistra fra vincoli economici autoimposti e vincoli veri
Il mio carissimo amico Lanfranco
Turci dopo aver letto una bozza di questa nota (di cui esclusivamente porto la
responsabilità, naturalmente), fra i tanti consigli mi ha esortato a premettere
che essa è improntata al pessimismo, sul paese e sulla sinistra: i margini di
manovra economica (dunque politica) sono rebus
sic stantibus limitati se non inesistenti, le idee poche, le classi
dirigenti inadeguate. Tuttavia è solo dalla presa d’atto realistica dello stato
di cose presenti che può provenire una reazione. E, comunque, dire le cose come
stanno aiuta a smascherare l’affabulazione politica, il girarsi attorno senza
contenuti, la politica fatta solo di accordi elettorali che, purtroppo, appare
dominare, figlia e madre del vuoto che ci circonda.
1.
Un paese esausto. Sempre più in occasioni come questa
mi viene infatti in mente Montale, “Codesto solo oggi
possiamo dirti, ciò che non siamo, ciò che non vogliamo”. Il paese è in un
passaggio storico drammatico, fra un passato (il secondo dopoguerra) di
speranze e riscatto e un futuro che assomiglia a una lenta eutanasia.
Storicamente siamo un paese gracile, dalle istituzioni fragili direbbero oggi
gli economisti.[1]
Istituzioni sia pubbliche che private. A una debole società civile dominata da
atavici opportunismi e furbizie, più che dal senso di appartenenza a una
comunità nazionale, si accompagna senza soluzione di continuità una classe
dirigente senza spessore che riflette pienamente il sostrato che la produce. La
cultura è scarsa, spesso pre-moderna, burocratica e anti-scientifica. In alcune
parti del paese va un po’ meglio, in altre assai peggio con ampie aree dominate dalla malavita
organizzata ormai estesa anche al resto
(ma abbiamo visto
intellettuali di prim’ordine difendere, piccati nel loro orgoglio, la giornata
della memoria per la caduta della Rocca di Gaeta in nome di verità storiche del
tutto fantasiose). L’Euro/pa ci ha
esautorato delle leve della politica macro-economica, ci rimane un po’ di
politica micro-economica ma, com’è noto, non si fanno le nozze coi fichi
secchi, per cui questa politica si riduce alla bassa cucina del togliere un po’
qui per mettere un po’ là, a seconda delle pressioni di volta in volta
prevalenti. Se da un lato la politica non sa fare progetti, dall’altro non li
può neppure più fare, di qui il suo decadimento (altro che casta!). Ma sono
state queste scelte deliberate e su esse torneremo. La concorrenza dei paesi
emergenti, specie quelli asiatici, non lascia peraltro più molto spazio a chi
non abbia progetti politici per il proprio paese, e le risorse per sostenerli. Il
paese è così avviato su se stesso, esausto, privo di senso identitario e
partecipativo, sembra tornato a secoli bui.
2.
Quale riformismo. Se dovessi indicare in sintesi
quale sinistra ritengo necessaria per il paese la definirei così: una sinistra
che abbia al centro gli interessi del paese,
di questo paese “che senza amor nazionale non si dà virtù grande" per citare
Leopardi (Zibaldone); riformista nel senso che abbia come asse la piena occupazione e la
crescita dei salari, avendo anche a cuore la difesa della competitività del
Paese, dell’industria pubblica e di quella privata, di un’istruzione e di una
ricerca pubbliche e democratiche ma rigorose – con la centralità dell’intervento pubblico; che coltivi un senso dell’appartenenza a una comunità
nazionale da cui ci si senta tutelati e cittadini partecipi superando una tara
storica della nostra costituzione materiale; che sostenga una forte autonomia
nazionale nella politica estera volta a un più
giusto ordine economico internazionale contro le mire bellicose nel
Mediterraneo di Francia e Regno Unito in primis (per quello che a un piccolo
paese è consentito fare, naturalmente). Il mio timore è che però che, dopo le
lacerazioni sul tema dell’Europa, quelle sull’immigrazione rappresentino il de
profundis per una sinistra di questo tipo. Sul tema dell’Europa gli scorsi anni
hanno visto una spaccatura verticale fra tre sinistre: a quella che denunciava
la natura imprescindibilmente autoritaria e liberista dell’Euro/pa se ne sono
contrapposte due: quella neo-liberista accondiscendente alle politiche europee
e quella “leggera”, anelante al più Europa. Ci torneremo su. L’immigrazione è un tema lacerante per
le coscienze di tutti, non solo per alcune anime belle. V’è un dovere
irrinunciabile all’aiuto a chi ha intrapreso percorsi di migrazione e alla
lotta contro lo sfruttamento dei paesi di provenienza. Ma per molti di noi l’idea
dell’accoglienza illimitata e a prescindere è irresponsabile, così come
colpisce la mancata consapevolezza che l’immigrazione ha costituito un tassello
della devastazione del mercato del lavoro, dei diritti e della estraneità
sociale in questi anni (non l’unico e certamente non il principale, ma un
elemento importante sì). Personalmente non sono disponibile a condividere
percorsi irresponsabili che finiscono per alimentare fenomeni reazionari e
comunque ci allontanano dal comune sentire e dal malessere popolare. Di fronte
a quest’ultimo non possiamo che contrattare uno scambio fra politiche di
integrazione per chi è già qui e un rigorosa politica di immigrazione regolare.
3.
L’ordo-ulivismo. La grande occasione per l’Italia fu
probabilmente quella di mettere a frutto il miracolo economico per modernizzare
e democraticizzare il paese. La borghesia non ne fu capace e più volte ha
cercato di sedare le rivendicazioni popolari per l’equità distributiva con la
violenza, dalla stretta di Carli del 1963 alla strategia della tensione e da
ultimo con lo SME e l’euro. La sinistra riformista è sempre stata minoritaria. Il
mancato riformismo della sinistra italiana ha radici lontane e ben spiegate da
Leonardo Paggi (con D’Angelillo, 1986) in quello che rimane, a mio avviso, il
più bel volume mai scritto sulla sinistra italiana, non a caso sotto
l’influenza dell’interpretazione di Keynes di Pierangelo Garegnani (ma la
lezione del riformismo pragmatico di Federico Caffè non è qui estranea). La
sinistra italiana non ha mai condiviso il Keynesismo riformista, l’idea dunque
che elevati salari diretti e indiretti (stato sociale) potessero essere di
sostegno alla piena occupazione. E’ infatti sempre stata “monetarista”, ha cioè
condiviso l’idea che la crescita dei salari portasse solo inflazione e fosse
dunque sovversiva e destabilizzante delle istituzioni democratiche. La svolta
dell’EUR del 1978 (maturata gli anni precedenti) nasce da questo, tutto il
resto segue. E non parliamo solo di Amendola o di Lama, ma anche di altri eroi
della sinistra, da Berlinguer a Trentin (v. Barba e Pivetti 2016). Il testimone
del “risanamento” fu presto preso dalla sinistra democristiana con Beniamino
Andreatta e da circoli borghesi rappresentati da Carlo Azeglio Ciampi (che
sostituì Baffi, sfavorevole alla prospettiva europea, dopo la sua violenta
defenestrazione) o Guido Carli (una volta che si rese conto che la tolleranza
che dovette mostrare come banchiere centrale nella prima metà degli anni ’70
non aveva più ragione d’essere). Contenimento del potere sindacale e
abbattimento del debito pubblico furono gli assi del duo Andreatta-Ciampi;
adesione allo SME e divorzio fra Tesoro e Banca d’Italia ne furono gli strumenti
iniziali. Cuore di questa impostazione era l’importazione della disciplina
dall’estero, legandosi al carro monetario tedesco, la politica del “legarsi le
mani”. Queste politiche causarono l’indebolimento della competitività esterna,
sicché a parità di spesa pubblica - che governi spendaccioni ma ancora
sensibili alla tutela di domanda e occupazione badavano bene a non ridurre – si
inaridirono le fonti di finanziamento nazionali determinando l’esplosione del
debito pubblico e di quello estero (con la crescita della quota del primo
detenuta da stranieri). La sinistra ulivista fece proprie queste politiche (con
la convergenza finale del rigore comunista e di quello andreattiano), assumendo
l’Europa di Maastricht come asse. Il disastro dell’euro ne è stato il
risultato. In un rinnovato clima di emergenza nazionale, nel 2011 Napolitano d’accordo
con potenze straniere e in linea con la tradizione anti-riformista del PCI
della “responsabilità nazionale”, piegò definitivamente alla disciplina dell’euro
le istanze occupazionali e sociali del Paese. L’emergenza era l’euro, non
l’Italia, ma di questo gli anti-riformisti non si avvedevano. Per loro il
demonio era il debito pubblico italiano, non l’autoimposto vincolo estero che
dai tempi dello SME l’aveva fatto esplodere, così come è esploso di nuovo in
seguito alle sciagurate politiche di austerità e al mancato tempestivo
intervento della BCE di cui la Germania (e chi non le si è opposto) portano una
drammatica responsabilità storica. Mi preoccupa l’assenza di un’autocritica
profonda negli ambienti della sinistra che hanno pur gestito in prima persona
quelle politiche, e questo fa temere che non si abbia ancora grande
consapevolezza di queste responsabilità storiche, e mi viene da concludere che in
certi circoli l’importante sia scalzare Renzi (che a suo modo qualche
rimostranza da moccioso indisciplinato in Europa l’ha manifestata) per
sostituirlo con l’Enrico Letta di turno, il figlio politico di Andreatta, colui
che scrisse:
«Andreatta capì che l’unico modo per
fare le privatizzazioni...e ridurre l’abnorme peso della politica... che ha
caratterizzato l’Italia pre-euro era quello di negoziare con Bruxelles... Per
farsi imporre dall’Europa il vincolo esterno» e con «saggezza e abilità... Andreatta
riuscì allora ad evitare gli ostacoli che la politica frapponeva a quella
rivoluzionaria decisione». Letta (2011)
Se non è così, se c’è un
ripensamento di quegli anni, venga fuori oggi, e ci si dica come si vuole
rimediare. Quanto la Germania ha guadagnato alle spalle del nostro paese è
sconcio; quello che si prepara con gli accordi Berlino-Parigi è una definitiva
cessione di sovranità democratica:[2] mi
si dia una risposta ferma e precisa per favore. La lotta ferma sul fronte
europeo sarà un asse della sinistra o no? Ci si è resi conto degli errori del
passato e in particolare che l’asse europeo ha significato soggiogarsi a un
disegno anti-popolare e anti-riformista? La risposta a questo secondo quesito,
la consapevolezza delle proprie responsabilità storiche, è più importante della
prima a cui è facile replicare: “ma figuriamoci, lotteremo contro i trattati e
blà e blà”. Vogliamo sapere se finalmente si sono fatti i conti col passato e
se si è disponibili a dire basta all’europeismo neoliberista - i due termini
largamente coincidono. E’ infatti accettabile parlare di europeismo solo in
termini culturali e di generale profonda cooperazione, ma solo in termini molto
più vaghi con riguardo all’integrazione fiscale e monetaria. Ma vale qui la
clausola Paggi: “La
consapevolezza della inscindibilità di economia e politica è fortissima nella
cultura e nelle politiche neoliberali, mentre è totalmente assente nel
linguaggio della sinistra.”[3]
Le ragioni economiche che dovrebbero essere cardine del pensiero a sinistra
sono per lo più incomprese e la politica fatta di mielosi sentimentalismi, o di
opportunismi. Insomma, più del no a Renzi vorrei ascoltare da una componente
della sinistra un no a Enrico Letta.
4.
C’è futuro in Euro/pa? C’era una strada alternativa all’ordo-ulivismo del papa straniero?
Difficile dirlo. Voglio anche dare una dignità politica all’ordo-ulivismo:
questo paese è incapace di governarsi, l’unica strada è affidarsi allo
straniero (è una vecchia storia, peraltro). Ma lo straniero è furbo e potente.
Imporrà a te il liberismo, mentre il suo potente apparato pubblico,
mercantilisticamente al servizio dell’industria occuperà anche i tuoi spazi.
Naturalmente si potrà essere liberisti alla Ciampi, Andreatta, Letta, Onofri e
via cantando e ritenere che l’Europa consista nello scioglimento dei lacci e
lacciuoli che frenano gli spiriti vitali dell’economia italiana. E’ legittimo
crederlo - e suppongo che in alcune componenti della “sinistra” lo si creda
ancora. Ma non lo si camuffi con storie circa la solidarietà europea. Qui siamo
alle belle narrazioni - purtroppo diffuse in altre componenti della “sinistra”
qui oggi rappresentate. Andatelo a chiedere alla Linke se proporranno all’elettorato tedesco trasferimenti fiscali
perequativi in Europa, o il superamento dell’euro. Ccà nisciuno è fesso, tranne la sinistra italiana verrebbe da dire.
5.
L’Euro/pa. L’errore dell’UME è stato di
anteporre l’unione monetaria a quella politica? No, l’unione politica (che
implica politiche di perequazione dei redditi fra paesi) è impossibile, o
meglio, l’unica Europa federale possibile è quella ordoliberista, come aveva
ben spiegato Hayek nel 1939 (quella in cui un super-stato si fa garante del
libero mercato in tutto il continente). Gli accordi franco-tedeschi per un
ulteriore accentramento fiscale vannno in questa direzione. La Germania potrà cambiare?
No, non cambierà il suo modello mercantilista. Il mercantilismo tedesco è
irrazionale? No, alla luce dell’impostazione Classico-Kaleckiana esso è un modo
di tradurre il sovrappiù in profitti attraverso le esportazioni (Cesaratto 2016
cap. 1). L’Italia potrà adeguarsi e migliorare? No, alla base del crollo della
produttività vi sono anni di depressione della domanda aggregata a causa
dell’autoimposto vincolo estero (Bagnai
2012), riforme del mercato del lavoro e allargamento indiscriminato dell’esercito
industriale di riserva, mentre non vi sono risorse per istruzione, ricerca e
università (e per il benessere sociale e per il sostegno della natalità dei
nostri giovani).
L’euro è veramente fallito? Se il
suo obiettivo era la disciplina sociale, esso è stato un successo. La teoria
economica ha fallito nei confronti dell’euro? No, Meade, Mundell, Flaming,
Godley, Kaldor, Feldstein, tutti hanno previsto una tendenza deflazionistica;
dopo dieci anni di bonaccia in cui covava una crisi del debito estero della
periferia, mercato di sbocco del mercantilismo tedesco (Cesaratto 2016, capp. 5
e 6; 2017), l’euro ha rivelato il suo vero volto deflazionista.
Il ritorno agli Stati nazionali è un
arretramento? No, lo Stato nazionale è il terreno democrazia: Stati senza
politica monetaria (dunque fiscale) sono privi di democrazia. Con la
globalizzazione e la mobilità di capitale e lavoro si decentra il capitale e
l’esercito industriale di riserva si fa mondiale; con l’Europa si delocalizza
lo Stato (Cesaratto 2017, Barba e Pivetti 2016).
L’euro ha un futuro? Non lo
sappiamo, se crolla sarà per insostenibilità politica, se e quando il ceto
medio e gli studenti lo decideranno; ma il caso greco dimostra che resilienza
dei popoli è infinita, i migliori se ne vanno, chi rimane si adegua, la natalità
crolla, l’immigrazione colma i vuoti. Cosa accadrà se Draghi dovrà dismettere
il QE? Reagiremo agli accordi fiscali franco-tedeschi?
Non mi metto a fare proposte
programmatiche, quelle seguono la politica. E quella manca.
La sinistra mi sembra divisa fra un’ala
risentita che insegue vendette antirenziane e quella che va appresso all’emergenza
del momento, ora all’immigrazione (ieri ai movimenti no-global). Del dramma del
paese che sta semplicemente morendo materialmente e culturalmente non sembra
importare gran che, anzi. Mi sembra che se non si rimette al centro della
nostra analisi, delle nostre passioni, il paese, questo paese, non si andrà da
nessuna parte. Mi sembra di concordare con D’Alema quando dichiara “Il nostro compito è ... di
costruire una sinistra democratica e di governo che possa essere un elemento
essenziale per la ricostruzione anche culturale dell'Italia.... Oggi dobbiamo
fare anche una riflessione autocritica riguardo a una
subalternità che molti di noi hanno avuto riguardo
all'ottimismo degli anni Novanta”. Ma si deve entrare nel merito. Le questioni
non sono solo euro ed Europa, ma anche ricostruire il senso di questo paese, il
che vuol dire capacità di chiamare a raccolta le sue forze migliori, a ogni
livello, intellettuale e popolare. Non lo si farà se ci si occupa d’altro e di
altri, lo dico chiaramente, se la salvezza dell’Italia non diventa la nostra
unica ossessione. Questo possiamo dire.
Riferimenti
Bagnai, A. (2012), Il tramonto dell’euro, Imprimatur,
Reggio Emilia.
Barba, A. e Pivetti, M. (2016) La
scomparsa della sinistra, Imprimatur, Reggio Emilia.
Cesaratto, S. (2017a), Sei lezioni di economia – Conoscenze necessarie per capire la crisi,
Imprimatur, Reggio Emilia (3a ristampa).
Cesaratto, S. (2017b)
Alternative Interpretations of a Stateless Currency crisis, Cambridge Journal of Economics, (https://doi.org/10.1093/cje/bew065) vol. 41 (4), pp. 977-998,
free download.
Di Martino,P. e Vasta,
M. (2017) Ricchi
per caso. La parabola dello sviluppo economico
italiano, Il mulino, Bologna.
Letta, E. La visione larga di Andreatta, in
AAVV (2011), L’autonomia della politica monetaria – Il divorzio Tesoro-Banca
d’Italia trent’anni dopo, Arel-il Mulino, Roma-Bologna (introduzione di
Giuseppe Mussari [sic])
Paggi, L. e D’Angelillo, M. (1986), I
comunisti italiani e il riformismo, Einaudi, Torino
http://it.blastingnews.com/politica/2017/09/dalema-pd-verso-il-disastro-vi-spiego-come-ricostruire-una-grande-sinistra-001975817.html