Summary:
... senza molta speranza di riuscirvi. Da Micromega. PS i firmatari comprendono sia elettori che non elettori di LEU, e molti potrebbero cambiare idea strada facendo (in entrambe le direzioni) Lettera aperta a Liberi e Uguali Negli ultimi quarant’anni la scienza e la tecnologia hanno fatto progressi inimmaginabili e la ricchezza del mondo è aumentata, tanto nei paesi che avevano un minor livello di sviluppo che in quelli di più antica industrializzazione. In questi ultimi, però, la maggiore ricchezza generata è andata quasi esclusivamente nelle mani di un piccolo numero di persone, invertendo la tendenza a una più equa distribuzione che si era verificata a partire dalla fine della seconda guerra mondiale. Non si è trattato di una fatalità o di un fenomeno impossibile da
Topics:
Sergio Cesaratto considers the following as important: euro, Europa, lettera aperta, Liberi e uguali, Micromega, sinistra
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PS i firmatari comprendono sia elettori che non elettori di LEU, e molti potrebbero cambiare idea strada facendo (in entrambe le direzioni)
Lettera aperta a Liberi e Uguali
Negli ultimi quarant’anni la scienza e la tecnologia hanno
fatto progressi inimmaginabili e la ricchezza del mondo è aumentata, tanto nei
paesi che avevano un minor livello di sviluppo che in quelli di più antica industrializzazione.
In questi ultimi, però, la maggiore ricchezza generata è andata quasi
esclusivamente nelle mani di un piccolo numero di persone, invertendo la
tendenza a una più equa distribuzione che si era verificata a partire dalla
fine della seconda guerra mondiale. Non si è trattato di una fatalità o di un
fenomeno impossibile da controllare: è stato il frutto dell’ideologia
economico-politica che ha conquistato l’egemonia dagli anni ’80 del secolo
scorso.
Da questa ideologia si sono lasciati conquistare anche i
partiti della sinistra storica, tanto da essere in molti casi protagonisti,
come forze di governo, delle politiche che da essa venivano dettate. L’Unione europea è nata sulla base di questa
ideologia, le cui linee fondamentali sono ben sintetizzate dalle parole di
Guido Carli, subito dopo la firma del Trattato di Maastricht, riportate nelle
sue memorie: “L’Unione Europea implica la concezione dello ‘Stato minimo’,
l’abbandono dell’economia mista, l’abbandono della programmazione economica, una
redistribuzione delle responsabilità che restringa il potere delle assemblee
parlamentari e aumenti quelle dei governi, l’autonomia impositiva degli enti
locali, il ripudio del principio della gratuità diffusa (con la conseguente
riforma della sanità e del sistema previdenziale), l’abolizione della scala
mobile, la riduzione della presenza dello Stato nel sistema del credito e
dell’industria, l’abbandono di comportamenti inflazionistici non soltanto da
parte dei lavoratori, ma anche da parte dei produttori di servizi, l’abolizione
delle normative che stabiliscono prezzi amministrati e tariffe. In una parola:
un nuovo patto tra Stato e cittadini, a favore di quest’ultimi”. Carli
dimenticò di precisare “a favore di una
parte di quest’ultimi”, ma per il resto la descrizione di quello che
sarebbe accaduto è quanto mai precisa e definita.
Questa è l’Europa dell’euro e del Trattato di Maastricht a
cui ci siamo legati. Con una aggravante: il dominio politico-economico della
Germania e dei suoi alleati, a cui per ragioni storiche è stata associata la
Francia. Questo gruppo di paesi guida l’Unione in base ai suoi specifici
interessi, anche quando confliggono con quelli degli altri membri. Pensare di
riuscire a cambiare sostanzialmente questa situazione è puramente illusorio: la
modifica dei trattati richiede l’approvazione all’unanimità, che implicherebbe
la rinuncia da parte del “nucleo forte” a una situazione che lo favorisce. La
prospettiva è semmai di un peggioramento: le linee della riforma della
governance europea, che dovrebbe essere approvata entro il prossimo anno, sono
frutto di una trattativa essenzialmente tra Germania e Francia. Se verrà
approvato lo schema attualmente in discussione, le conseguenze per l’Italia
saranno pesantissime. Il nucleo-guida ha già dimostrato di non tenere in alcun
conto le ragioni del nostro paese: da oltre tre anni abbiamo chiesto
ufficialmente di cambiare il metodo di calcolo del Pil potenziale, che è la
base di giudizio per i conti pubblici e che è stato giudicato poco attendibile
da un gruppo di esperti incaricato di valutarlo dalla stessa Commissione, e ad
oggi non abbiamo ottenuto alcun risultato. Questo è senza dubbio un pessimo
segnale per il futuro.
I partiti politici che si sono alternati al governo
dell’Italia hanno pesanti responsabilità per la situazione in cui ci troviamo. Ma
ancor di più ne hanno i partiti di sinistra, che, come nel resto d’Europa, si
sono convertiti ad una “terza via” inesistente, perché altro non era che
un’adesione incondizionata al neoliberismo. La gestione della crisi ha poi
portato alle estreme conseguenze questa linea politica: una scelta pagata dai
partiti socialisti e socialdemocratici europei con disastrosi crolli
elettorali.
Il Pd, dopo un’evoluzione (o involuzione) durata quasi un
trentennio, è definitivamente approdato alla completa condivisione
dell’ideologia neoliberista. Molti dei suoi elettori lo hanno via via capito, e
non ritenendo che vi fossero alternative valide hanno fatto arrivare il numero
di chi si astiene dal voto a livelli mai toccati prima nella storia della Repubblica.
Liberi e uguali è un partito nato dichiarando esplicitamente
di voler dare rappresentanza agli elettori della sinistra riformista. I
sondaggi dicono però che ci sta riuscendo in modo molto parziale e che anzi
negli ultimi mesi le intenzioni di voto mostrano una tendenza discendente. Se
il risultato sarà quello delle attuali stime, che lo prevedono tra il 5 e il
6%, sarà sufficiente a superare la soglia necessaria ad eleggere una
rappresentanza parlamentare, ma avrà coinvolto la metà o forse meno del suo
elettorato potenziale.
Noi che sottoscriviamo questo documento crediamo che ciò
avvenga perché LeU non ha dato precisi segnali di discontinuità rispetto al
processo che ha portato i partiti tradizionali della sinistra a convertirsi
alle idee del “pensiero unico” e alle scelte che questo ha comportato, prima
fra tutte quella di disegnare un’organizzazione sociale funzionale ai desideri
(non alle “necessità”) del mercato, subordinando ad essi le istanze di promozione
sociale che la Costituzione pone come scopo della Repubblica. A parte alcune
eccezioni, ci sembra che il suo
atteggiamento rispetto all’Europa reale sia superficiale e reticente: non ha
senso vagheggiare una ipotetica “Europa più giusta, più democratica e solidale”
per cui non ci sono le condizioni né ci saranno nel prossimo futuro. Occorre
invece porsi il problema di cosa fare per non farsi schiacciare dall’Europa che
c’è. Che non abbia avuto il coraggio – o forse la convinzione – di dire che la
strada dell’ultimo quarto di secolo era sbagliata per chi si ponga in un’ottica
di sinistra. Riconoscere i propri errori è la condizione di base per elaborare
una visione nuova, che proponga un’alternativa a una società che ha fatto
aumentare le disuguaglianze in modo insopportabile, ha trasformato il lavoro in
precariato e sfruttamento e promette ai nostri figli una vita peggiore di
quella dei loro padri. Un primo passo può essere quello di proporre che sia
possibile sottoporre preventivamente al giudizio della Corte Costituzionale,
anche su iniziativa dei cittadini, le norme e gli accordi che hanno origine dall’Unione europea. Come
del resto avviene in Germania.
Alcuni di noi hanno deciso che non voteranno LeU alle
prossime elezioni, ma potrebbero cambiare idea se ricevessero risposte chiare
ai problemi che qui sono stati posti, così come farebbero numerosi altri
elettori del “popolo della sinistra”. Oppure no, se le riterranno
insufficienti. Altri di noi hanno deciso che voteranno LeU comunque, per preservare
un riferimento a sinistra, ma non smetteranno, anche dopo le elezioni, di
insistere sulle scelte di fondo di cui qui si è detto.
Spetta ora ai dirigenti di LeU offrire un segnale senza
ambiguità se vogliono davvero riconquistare il popolo della sinistra. Altrimenti
sono destinati a seguire la sorte dei partiti socialisti e socialdemocratici
che sono passati dal governo all’irrilevanza.
Firme
Nicola Acocella, economista, univ. La Sapienza
Davide Antonioli, economista, univ. Chieti-Pescara
Lucio Baccaro, direttore Istituto Max Planck, Colonia
Roberto Balduini, dirigente, Roma
Annaflavia Bianchi, economista, univ. Ferrara
Luigi Bosco, economista univ. Siena
Sergio Cesaratto, economista, univ. Siena
Guglielmo Chiodi, economista, univ. La Sapienza
Carlo Clericetti, giornalista, Roma
Massimo D'Angelillo, economista, Bologna
Massimo D'Antoni, economista, univ. Siena
Sebastiano Fadda, economista, univ. Roma 3
Daniele Girardi, economista, univ. del Massachusetts
Andrea Guazzarotti, costituzionalista, univ. Ferrara
Ugo Marani, economista, univ. Napoli L'Orientale
Salvatore Monni, economista, univ. Roma 3
Antonio Musolesi, economista, univ. Ferrara
Domenico Mario Nuti, economista, univ. La Sapienza
Leonardo Paggi, storico, già docente universitario
Paolo Pini, economista, univ. Ferrara
Geminello Preterossi, Filosofo del diritto, univ. Salerno
Fabio Ravagnani, economista, univ. La Sapienza
Pasquale Santomassimo, storico, univ. Siena
Roberto Schiattarella, economista, univ. Camerino
Alessandro Somma, costituzionalista, univ. Ferrara
Antonella Stirati, economista, univ. Roma 3
Francesco Sylos Labini, fisico Centro Enrico Fermi, Roma
Mirco Tomasi, economista, Bruxelles
Leonello Tronti, economista, univ. Roma 3
Antimo Verde, economista, univ. Tuscia
Marco Veronese Passarella, docente economia, univ. Leeds
Paolo Piacentini, economista, univ. La Sapienza
Marzia Zanardi, pensionata, Bologna
Gennaro Zezza, economista, univ. Cassino e Levy Institute
Davide Antonioli, economista, univ. Chieti-Pescara
Lucio Baccaro, direttore Istituto Max Planck, Colonia
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Annaflavia Bianchi, economista, univ. Ferrara
Luigi Bosco, economista univ. Siena
Sergio Cesaratto, economista, univ. Siena
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Carlo Clericetti, giornalista, Roma
Massimo D'Angelillo, economista, Bologna
Massimo D'Antoni, economista, univ. Siena
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Daniele Girardi, economista, univ. del Massachusetts
Andrea Guazzarotti, costituzionalista, univ. Ferrara
Ugo Marani, economista, univ. Napoli L'Orientale
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Domenico Mario Nuti, economista, univ. La Sapienza
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Paolo Pini, economista, univ. Ferrara
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Mirco Tomasi, economista, Bruxelles
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Marco Veronese Passarella, docente economia, univ. Leeds
Paolo Piacentini, economista, univ. La Sapienza
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Gennaro Zezza, economista, univ. Cassino e Levy Institute