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La verità sull’Europa

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Intervista al quotidiano La verità, 28 novembre 2018 (ripresa da Dagospia) Sergio Cesaratto, economista critico italiano, tra i più noti a livello internazionale, è professore ordinario di politica monetaria e fiscale dell'Unione economica e monetaria europea, economia della crescita e post-keynesian economics all'università di Siena. Il suo ultimo saggio è intitolato “Chi non rispetta le regole? Italia e Germania, le doppie morali dell' euro”. Professor Cesaratto, secondo lei chi è che non rispetta le regole europee? «L' idea del libro è che quello che non ha funzionato in Europa non è certo colpa dell'Italia. L'Italia ha messo in campo una operazione di risanamento fiscale già dagli anni Novanta, prima dell'euro. Risanamento pagato molto

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Intervista al quotidiano La verità, 28 novembre 2018 (ripresa da Dagospia)

Sergio Cesaratto, economista critico italiano, tra i più noti a livello internazionale, è professore ordinario di politica monetaria e fiscale dell'Unione economica e monetaria europea, economia della crescita e post-keynesian economics all'università di Siena.
Il suo ultimo saggio è intitolato “Chi non rispetta le regole? Italia e Germania, le doppie morali dell' euro”.

Professor Cesaratto, secondo lei chi è che non rispetta le regole europee?
«L' idea del libro è che quello che non ha funzionato in Europa non è certo colpa dell'Italia. L'Italia ha messo in campo una operazione di risanamento fiscale già dagli anni Novanta, prima dell'euro. Risanamento pagato molto caro: è calata la domanda interna, la produttività non è cresciuta, è stagnata se non diminuita. L'Italia ha fatto uno sforzo enorme, pagato con tagli alla spesa pubblica e effetti negativi sulla domanda interna.

La Germania invece con l'euro ci ha guadagnato, ha perseguito una sua vecchia politica di tenere l'inflazione più bassa degli altri. Con sistemi di cambi fissi come l'euro, gli altri Paesi hanno rinunciato alla possibilità di svalutare, di guadagnare competitività. La Germania ha guadagnato con la crisi del 2008: l'euro si è indebolito e ha rafforzato le esportazioni tedesche»


La Germania ha contribuito all' esplosione della crisi?
 draghi merkel
«Certamente. La crisi è stata causata dall' indebitamento di alcuni Paesi europei periferici: Spagna, Portogallo, Grecia, Irlanda. Questi Paesi ricevevano prestiti dalla Germania, che si traducevano in acquisto di beni tedeschi. Una politica mercantilista, quella di Berlino: tenere bassi i salari interni, così i profitti sono alti, e il sovrappiù dei prodotti viene venduto all'esterno. Ma è una politica che ha le gambe corte: i Paesi periferici vedono crescere il loro debito, c'è scarsa fiducia sulla loro capacità di restituirlo e scoppia la crisi. Il modello tedesco è incompatibile con un' unione monetaria. Il problema dell' Europa è la Germania, non l'Italia».

Come dovrebbe cambiare l'Europa?
«La Germania dovrebbe espandere di più il proprio mercato interno, aumentando i salari, ma la verità è che i tedeschi non vogliono fare la locomotiva. La locomotiva dell' economia mondiale sono gli Stati Uniti, che con la loro domanda interna tengono su l'economia del globo. Gli Usa da sempre chiedono a Germania, Giappone e Cina di fare altrettanto. Nel 2008, 2009 e 2010 la Cina l'ha fatto, ha sostenuto la domanda mondiale. La Germania no. I dazi americani la Germania se li cerca. Vuoi solo vendere e non vuoi comprare, gli altri in qualche modo reagiscono».

Lei scrive che la Germania ha bisogno di avvalorare l'illusione che anche la Francia abbia voce in capitolo in Europa, per non dare l'impressione di una egemonia


«La Francia è un fantoccio della Germania. La Francia è economicamente molto debole, per certi versi più debole dell' Italia. La Germania ha bisogno della finzione che in Europa si è in due a governare, ma del resto si è visto: le proposte di riforma dell' eurozona di Emmanuel Macron sono assolutamente timide e la Germania spesso ha detto di no e qualche volta ha fatto finta di dire di sì, come ha fatto la settimana scorsa davanti alla proposta su un minimo di bilancio europeo, ma si tratta di 20 miliardi. Come dire: nemmeno una finanziaria italiana. Parliamo sostanzialmente di una presa in giro».

La Germania vuole cambiare le regole europee: secondo lei cosa ha in mente?


«Cosa ha in mente la Germania non è chiaro, tranne che i propri interessi. Dell'Italia non gliene può importare di meno, tutte queste chiacchiere su una solidarietà europea lasciano il tempo che trovano. L'Italia è un Paese che, se c'è o non c'è, alla Germania non interessa più di tanto. Certo, può comprare qualche buona impresa italiana, come la Ducati (controllata da Audi, ndr), ma di tutto il resto le importa poco.

La Germania vuole, come ha chiaramente detto, che i mercati sanzionino l'Italia. Affinché questo accada, la Bce non deve intervenire a sostegno dei titoli italiani. Uno Stato è lasciato alla mercè dei mercati, con la Commissione europea che li aizza: questa è la situazione in cui ci troviamo. Sono indubbiamente molto forti, molto bravi, non solo loro, ma anche i francesi, Noi avremmo bisogno di più flessibilità, più domanda interna, di una banca centrale che ci sostenga».

E il quantitative easing voluto da Mario Draghi?
«Si questo l'ha fatto, ma il quantitative easing europeo è partito con sei anni di ritardo rispetto a quello americano. Sei anni di ritardo, che noi abbiamo pagato con l'aumento del debito dal 100% del 2007 al 130% di oggi. Il non far nulla della Bce e l'austerità ci sono costati 30 punti di rapporto debito/pil. Inoltre, con il quantitative easing la Bce ha comprato titoli di tutti i Paesi, tanto è vero che i tedeschi hanno il tasso di interesse sul Bund a 10 anni al 0,3/0,4%, noi ce l'abbiamo al 3,5 per cento in più.

È chiaro che così per i tedeschi è facile tenere le finanze pubbliche sane, ma non c'è ragione economica perché l'Italia paghi tassi di interesse così assurdi. Il Giappone ha tassi a zero con il rapporto debito/pil al 250%. Il debito pubblico giapponese è enorme, ma la banca centrale tiene i tassi a zero e quindi non è un problema».

Cosa potrebbe o dovrebbe fare la Bce?
«La Bce potrebbe intervenire selettivamente sui titoli pubblici italiani se lo volesse. Tra l'altro, sarebbe obbligata a farlo, perché gli alti tassi di interesse sui titoli italiani si trasmettono poi sul costo dei nuovi mutui, sul costo del credito a famiglie e imprese.

La Bce, siccome deve garantire che il costo del credito sia il medesimo per tutti i Paesi europei, dovrebbe intervenire sui titoli pubblici italiani. Nel 2010/12 un po' lo ha fatto. Comprò solo alcuni titoli di Stato: italiani, spagnoli, irlandesi. Dovrebbe farlo anche adesso, non per sostenere lo Stato italiano, ma per garantire che i tassi di interesse per famiglie e imprese siano i medesimi».

Cosa pensa del braccio di ferro tra il governo italiano e la Commissione europea?
«Il governo italiano non è che stia violando chi sa cosa. È un attacco politico, quello della Commissione europea».
Sergio Cesaratto
Sergio Cesaratto (Rome, 1955) studied at Sapienza, where he graduated under the direction of Garegnani in 1981 and received his doctorate in 1988. He obtained a Master's degree in Manchester in 1986. He worked as a researcher at CNR where he was of Innovation Economics. In 1992 he became a researcher at La Sapienza, and then associate professor in Siena where he teaches Economic Policy and Development Economics.

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