In questa bella, rigorosa e approfondita recensione Cesaratto sintetizza così bene gli argomenti sviluppati da de Vivo che verrebbe quasi voglia di dire: letta la recensione non c’è bisogno di leggere il libro. Ma non lo dirò, perché l’opera è veramente importante e va letta con attenzione. E consiglio di leggerla in parallelo con un'altra opera importante: P. Sraffa, "Lettere a Tania per Gramsci" (a cura di V. Gerratana), Editori Riuniti, Roma 1991. Il testo di de Vivo delucida un’ampia serie di problemi storiografici, teorici e politici su cui anche alcune menti eccelse si sono perse. La più importante di tutte le questioni controverse riguarda il rapporto di Sraffa con il pensiero di Marx. De Vivo contribuisce a chiarire che il lavoro teorico dell’amico di Gramsci va
Topics:
Sergio Cesaratto considers the following as important: De Vivo, Gramsci, Marx, Screpanti, Sraffa
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Un
problema molto importante riguarda il rapporto di Sraffa con il pensiero
di Ricardo. Su tale questione regna ancora il massimo di confusione,
sia tra gli economisti marxisti che tra i marginalisti, confusione che
viene normalmente espressa nella tesi secondo cui Sraffa sarebbe un
neoricardiano. De Vivo chiarisce bene che la principale e fondamentale
fonte di Sraffa è "Il capitale" di Marx, e non "I principi" di Ricardo,
ma avrebbe forse dovuto approfondire la seconda parte della
proposizione. Nell’equivoco di uno Sraffa neoricardiano sembrerebbe non
essere caduto il papa dell’economia neoclassica del Novecento, Paul
Samuelson. Questi sostenne che l’economista italiano di Cambridge era un
grande economista purtroppo guidato dal desiderio di validare a tutti i
costi Marx. Il che potrebbe essere considerato un complimento se non
fosse che lo stesso Samuelson accusò di Marx di essere nient’altro che
un ricardiano minore. Ora, si dà il caso che Sraffa, oltre ad aver
sviluppato una critica alla teoria ricardiana del valore e del capitale
nella sua Introduzione a "I principi", in "Produzione di merci" cita
l’economista inglese in due paragrafi dell’appendice D. Lo fa a
proposito del modello grano-grano e della merce media e soprattutto per
richiamare la sua concezione del sovrappiù come grandezza fisica, senza
dimenticare di riportare la valutazione positiva di Marx. Dopo di ché
lancia uno strale contro Ricardo osservando che la propria “merce tipo”
(a differenza della “merce media” di Ricardo stesso) equivale “proprio a
qualcosa che si approssima alla misura generale proposta da Adam Smith,
cioè ‘il potere d’acquisto sul lavoro’”, ovvero il lavoro comandato. Lo
strale colpisce anche Marx il quale, pur apprezzando il concetto di
“lavoro comandato”, non lo ha mai capito a fondo, non al punto di
rendersi conto che invalida la teoria del valore-lavoro (dimostrando che
funziona solo in un’economia non capitalistica). In altri termini
Sraffa non si limita a mettere in equazioni rigorose la teoria del
valore ma lo fa in modo tale da depurare Marx da quel residuo di
ricardismo che ne faceva un “ricardiano minore”. Insomma, Marx era
ancora troppo ricardiano e Sraffa lo libera da questa pecca.
In una
lettera del 30 maggio 1932 Gramsci scrive: “si può dire che Ricardo
abbia contribuito a indirizzare i primi teorici della filosofia della
praxis al loro superamento della filosofia hegeliana e alla costruzione
del loro nuovo storicismo, depurato di ogni traccia di logica
speculativa? A me pare che si potrebbe tentare di dimostrare questo
assunto e che varrebbe la pena di farlo. Prendo lo spunto dai due
concetti, fondamentali per la scienza economica, di ‘mercato
determinato’ e di ‘legge di tendenza’ che mi pare siano dovuti al
Ricardo” ("Lettere a Tania", 77). Ahimé, anche Gramsci aveva le idee un
po’ confuse su questo tema. Sraffa lo bacchetta subito, scrivendo che
vorrebbe “avere qualche spiegazione sui due concetti di ‘mercato
determinato’ e ‘legge di tendenza’, che Nino considera fondamentali e
che, mettendoli fra virgolette, sembra attribuire loro un significato
tecnico: confesso che non capisco bene a che cosa si riferiscano, e
quanto al secondo, io ero abituato a considerarlo piuttosto come una
delle caratteristiche dell’economia volgare. Ad ogni modo è molto
difficile apprezzare l’importanza filosofica, se vi è, di Ricardo,
perché egli stesso, al contrario dei filosofi della praxis, non si
ripiegava mai a considerare storicamente il suo proprio pensiero. In
generale egli non si pone mai dal punto di vista storico e come è stato
detto considera come leggi naturali ed immutabili le leggi della società
in cui vive. Ricardo era, e restò sempre, un agente di cambio di
mediocre cultura.” ("Lettere a Tania", 74).
Pubblichiamo un importante commento che Ernesto Screpanti ha postato su Facebook