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Pubblichiamo intervista a Ilsussidiario.net Devo a Eurointelligence la notizia della "soffiata". Quella soffiata al Financial Times pericolosa per l’Italia 11.10.2019 - int. Sergio Cesaratto La flessibilità sui conti e il piano verde della Germania non bastano a evitare la recessione europea. Specie se si azzoppa il Qe della Bce All’Eurogruppo di mercoledì e all’Ecofin di ieri, Roberto Gualtieri e il suo omologo francese Bruno Le Maire hanno avanzato la richiesta di maggior flessibilità sui conti pubblici. Stando a quanto riportano i media, inoltre, Pierre Moscovici avrebbe chiesto, come già fatto da Mario Draghi, ai paesi che hanno surplus commerciali e di bilancio, quali la
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Sergio Cesaratto considers the following as important: Cesaratto, euro, Europa, Il sussidiario
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Pubblichiamo intervista a Ilsussidiario.net
Devo a Eurointelligence la notizia della "soffiata".
All’Eurogruppo di
mercoledì e all’Ecofin di ieri, Roberto Gualtieri e il suo omologo
francese Bruno Le Maire hanno avanzato la richiesta di maggior
flessibilità sui conti pubblici. Stando a quanto riportano i media,
inoltre, Pierre Moscovici avrebbe chiesto, come già fatto da Mario
Draghi, ai paesi che hanno surplus commerciali e di bilancio, quali la
Germania, di mettere in atto politiche fiscali espansive a beneficio di
tutti. Da parte sua, il ministro delle Finanze tedesco, Olaf Scholz, ha
ricordato che il suo Paese ha già deciso di stanziare 150 miliardi di
euro per investimenti verdi nei prossimi dieci anni. Bastano
flessibilità sul deficit e investimenti green di Berlino a contrastare
la temuta recessione europea? Lo abbiamo chiesto a Sergio Cesaratto,
professore di Economia politica all’Università di Siena.
Devo a Eurointelligence la notizia della "soffiata".
Quella soffiata al Financial Times pericolosa per l’Italia
La flessibilità sui conti e il piano verde della Germania non bastano a evitare la recessione europea. Specie se si azzoppa il Qe della Bce
Professore, cosa pensa di quanto emerso dall’Eurogruppo?
È interessante che la Commissione
richiami i paesi che hanno spazio fiscale a fare qualcosa. Il problema è
che i 150 miliardi di euro in 10 anni di cui parla la Germania sono
insignificanti se si vuole veramente evitare una recessione europea, che
nei fatti è già cominciata. Da parte tedesca c’è un assoluto no a
qualsiasi tipo di politica fiscale europea. La quale può prendere
sostanzialmente due forme: ogni Paese mantiene il proprio bilancio
nazionale, ma ci si coordina in modo che chi può mette in campo
politiche espansive lo faccia; oppure si crea un budget federale
europeo, cosa che implica il potere di fare debito, ma su questo il no
tedesco è assoluto, visto che già il coordinamento delle politiche
fiscali va stretto a Berlino. In questo contesto di un’Europa che di
fatto non cambia, accadono cose preoccupanti.
A che cosa si riferisce?
Il Financial Times ha rivelato
che prima della riunione del board della Bce di settembre, con cui
Draghi ha fatto riprendere il Qe che lascerà in eredità alla Lagarde, la
Commissione di politica monetaria della stessa Bce aveva manifestato un
parere contrario sulla ripresa di acquisti dei titoli di stato e che
altre commissioni, tra cui quella legale, avevano espresso delle riserve
su un nuovo Qe. La cosa grave non è tanto il parere contrario in sé,
perché il board già in passato aveva deliberato senza tenerne conto, ma
il fatto che siano state fatte filtrare all’esterno informazioni così
delicate. È chiaro che questo è uno sgambetto a Draghi e alla Lagarde, è
un’arma per i “falchi” tedeschi.
Un qualcosa che danneggia anche noi?
Per noi la ripresa del Qe è
importante, perché il problema dei vincoli di bilancio non è tanto nelle
sanzioni che può comminare la Commissione europea, quanto in quello che
può succedere sui mercati. Fare più deficit in presenza di politiche
attive della Bce non comporta rischi particolari sui mercati. Senza Qe,
invece, una minima violazione può essere pericolosa.
Se la Germania facesse un po’ di deficit, questo ci aiuterebbe?
L’idea è che se la Germania spende,
questo avrebbe ricadute positive anche per gli altri Paesi. Non dobbiamo
però aspettarci miracoli. Non basta un rilancio della domanda interna
tedesca per risolvere il problema dell’industria automobilistica, che si
riflette sulla nostra componentistica, che è strutturale. Una maggior
spesa tedesca avrebbe poi dei riflessi sull’importazione di prodotti
extra-Ue e questo allenterebbe le tensioni con gli Usa sui dazi, acuite
dal fatto che il Qe favorisce un deprezzamento dell’euro sul dollaro.
Anche quest’anno l’Italia, non da sola, cerca margini di flessibilità. È una ricetta che funziona?
Certamente non funziona l’austerità.
Se avessimo tassi più bassi e come obiettivo ci dessimo non la riduzione
del debito/Pil, ma la sua stabilizzazione, un po’ di flessibilità,
insieme ai risparmi che si avrebbero sul servizio del debito, ci
consentirebbero un po’ di politica fiscale espansiva, che non andrebbe a
peggiorare il rapporto debito/Pil dando anche un po’ di sollievo
all’occupazione. Certo saremmo sempre un po’ sulla linea del tirare al
campare. L’Europa dovrebbe fare tante cose, come gli investimenti nella
aree depresse e una politica fiscale comune, ma non è uno Stato, è un
aggregato di Paesi, ciascuno con i propri interessi. Lo zero virgola in
più di deficit alla fine ci aiuta un po’ a galleggiare, è una strategia
di galleggiamento.
Lei ha detto che la recessione europea è già iniziata. Secondo lei, ve n’è la percezione nell’opinione pubblica?
Forse no. Forse ne è più consapevole
quella tedesca. In ogni caso la Germania cercherà una via d’uscita per
conto proprio, facendo una politica industriale per sé, potendo contare
su più risorse e sulla possibilità di finanziarsi a tassi negativi. Che
interesse ha a risolvere i problemi insieme a noi? Del resto, mentre i
tedeschi possono parlare di un piano da 150 miliardi di euro per
contrastare i cambiamenti climatici, il nostro decreto clima è
praticamente insignificante: ci vorrebbero massicci investimenti, per
esempio su ferrovie o trasporti alternativi all’auto.
(Lorenzo Torrisi)