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Manovra, Europa, crisi internazionale: intervista a Sergio Cesaratto Intervista a Sergio Cesaratto, Professore ordinario di Economia internazionale, di Politica monetaria e fiscale nell’Unione Monetaria Europea, a cura della redazione di ComINFO, su manovra, europa e crisi internazionale. In queste settimane è in elaborazione e discussione la manovra finanziaria 2017, una manovra che si preannuncia in continuità con le politiche di liberiste volte alla tutela delle imprese attraverso le decontribuzioni e la riduzione della tassazione sui profitti. Qual è il suo punto di vista? Non ho francamente molto da dire sulla Legge Finanziaria che se non propone tagli massicci per non mortificare una ripresa già anemica, neppure si proietta a incentivarla. Il sostegno
Topics:
Sergio Cesaratto considers the following as important: Cesaratto, Crisi, Europa, FGCI, finanziaria, intervista, sinistra, socialismo
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Manovra, Europa, crisi internazionale: intervista a Sergio Cesaratto Intervista a Sergio Cesaratto, Professore ordinario di Economia internazionale, di Politica monetaria e fiscale nell’Unione Monetaria Europea, a cura della redazione di ComINFO, su manovra, europa e crisi internazionale. In queste settimane è in elaborazione e discussione la manovra finanziaria 2017, una manovra che si preannuncia in continuità con le politiche di liberiste volte alla tutela delle imprese attraverso le decontribuzioni e la riduzione della tassazione sui profitti. Qual è il suo punto di vista? Non ho francamente molto da dire sulla Legge Finanziaria che se non propone tagli massicci per non mortificare una ripresa già anemica, neppure si proietta a incentivarla. Il sostegno
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Manovra, Europa, crisi internazionale: intervista a Sergio Cesaratto

Intervista a Sergio 
Cesaratto, Professore ordinario di Economia internazionale, di Politica 
monetaria e fiscale nell’Unione Monetaria Europea, a cura della 
redazione di ComINFO, su manovra, europa e crisi internazionale.
In queste settimane è in elaborazione e discussione la 
manovra finanziaria 2017, una manovra che si preannuncia in continuità 
con le politiche di liberiste volte alla tutela delle imprese attraverso
 le decontribuzioni e la riduzione della tassazione sui profitti. Qual è
 il suo punto di vista?
Non ho francamente molto da dire sulla 
Legge Finanziaria che se non propone tagli massicci per non mortificare 
una ripresa già anemica, neppure si proietta a incentivarla. Il sostegno
 all’occupazione a tempo indeterminato aiuta sì questo tipo di 
contratti, come si è visto nel 2015-16, ma cosa accadrà poi al termine 
della decontribuzione? Si pongono poi discrimini per età che sono 
francamente ingiusti: come se avere 36 anni fosse meglio di averne 35, e
 35 meglio di 29.
Van bene i sostegni a favore 
dell’innovazione – la sinistra non deve opporsi al progresso tecnologico
 – ma che si monitori l’uso del fondi. A fronte del mantenimento del 
ridicolo bonus ai diciottenni o al sostegno ai vivai calcistici si 
lesina nelle assunzioni nella ricerca ( e si perpetua una ingiustizia 
verso i professori universitari). La conferma del prolungamento dell’età
 lavorativa a età avanzate (67 anni lo sono) è una vera tortura per chi 
aveva l’aspettativa di un po’ di anni di riposo in salute. Mai 
dimenticare che l’alto peso del sistema pensionistico sul Pil in Italia 
dipende dalla debole base occupazionale, non tanto (o non solo) 
dall’invecchiamento. E ci sono milioni di giovani italiani a spasso. E 
certo che non fanno figli!
Il contesto europeo è ahinoi un po’ 
questo, e gli spazi di politica fiscale limitati. Nel futuro potrebbe 
andar peggio se il nuovo governo tedesco riuscisse a fare la voce grossa
 a Bruxelles sul rigore fiscale. O forse non la farà perché ci 
getterebbero nel baratro. Continueranno a farci campare alla giornata. E
 non sappiamo come sarà la nuova BCE a guida tedesca. Certo i tassi 
saliranno, e con essi il costo del debito pubblico.
A fine anno, in un silenzio 
politico e mediatico totale, il Parlamento sarà chiamato alla ratifica 
del Fiscal Compact, il trattato fiscale che ha assunto una natura 
persino simbolica delle politiche di austerity della UE contro la 
sovranità economica e politica degli Stati. Intanto, la UE si prepara ad
 un consolidamento politico e giuridico delle asimmetrie economiche su 
cui si fonda: la cosiddetta “Europa  a due velocità”. Qual è il progetto
 a cui tendono le classi dominanti europee ed, in particolare, quella 
egemone, cioè quella tedesca?
Secondo molti l’iscrizione del fiscal 
compact nei Trattati non cambierebbe molto. In effetti la legislazione 
fiscale europea è una giungla che come docente di economia europea trovo
 difficile a districare. L’ennesimo esempio dell’anti-demoraticità 
dell’Europa: questa risulta incomprensibile al semplice cittadino. I 
medesimi vincoli fiscali sono dunque ripetuti da più parti in varie 
salse, per cui una volta di più una meno… Dovremmo naturalmente 
approfondire, ma la sinistra è occupata, come è ben noto, in chiacchiere
 elettoralistiche o nell’assemblearismo alla Falcone&Montanari con 
gli over 60. Circa l’Europa a due velocità non si è mai ben capito di 
cosa consista. Una rafforzata alleanza franco-tedesca? Chi comanderebbe è
 chiaro. Oppure un gruppo di testa con una rafforzata governance tedesca? E l’Italia dove la vorranno collocare?
I progetti tedeschi di riforma 
dell’eurozona sono nella direzione di una definitiva sottrazione di 
sovranità fiscale ai paesi membri, in cambio di briciole come una 
parvenza di sussidi di disoccupazione europei (proposta invero francese)
 e di assicurazione sui depositi bancari sotto i 100 mila euro (in 
cambio le banche italiane dovrebbero rapidamente ricapitalizzarsi per 
tener conto dei crediti deteriorati che possiedono, un salasso per le 
banche; e disfarsi dei titoli di Stato, un salasso per i titoli 
pubblici). Ma i liberali tedeschi ora rifiutano persino questi piatti di
 lenticchie offerti alla periferia. Probabilmente nei fatti la linea 
dura dei liberali non prevarrà, ma serva questo da monito a chi a 
sinistra vagheggia di più Europa. Se va bene l’Europa continua così. 
Questi sinistresi sono persino meno realistici di Renzi.
Non so a cosa tenda la Germania, non 
sono bravo negli scenari. Di certo i tedeschi si tengono stretto il 
proprio modello. Sono un società ben organizzata e non vogliono 
annacquarla con il vino di cattiva qualità del sud europeo. Se fossi in 
loro farei lo stesso. E perché mai dovremmo aspettarci solidarietà. 
Dovremmo piuttosto cominciare a badare a noi stessi. Di interessante c’è
 che con la coalizione Jamaica, la Merkel distribuirà una mancia a 
ciascuno dei partiti della compagine da spendere nel proprio bacino 
elettorale (tutto il mondo è paese). Ma non basterà certo a far uscire 
quel paese dalla austerità fiscale.
Nell’ambito del dibattito 
scientifico ed economico internazionale, molti osservatori rimarcano il 
rischio incombente di una nuova crisi finanziaria pronta ad esplodere, 
un crisi incubata ancora negli USA, frutto – si sostiene – delle 
politiche monetarie espansive e della mancata regolamentazione 
finanziaria da più parti invocata dopo lo scoppio della crisi del 
2007/2008. Quanto è concreto questo rischio?
Da come capisco Trump sta facendo marcia
 indietro sul quel po’ di regolazione dei mercati finanziari che era 
seguita alla crisi del 2007-8. D’altronde il capitalismo deve generare 
domanda aggregata da qualche parte. Se non lo fa con elevati salari 
diretti e indiretti (come nell’epoca keynesiana), o con le esportazioni 
(come fa la Germania), lo deve fare con l’indebitamento delle famiglie 
tramite credito al consumo, o con gli effetti ricchezza dalle bolle 
borsistiche, o con il spesa militare. E’ il capitalismo, bellezza! 
Questa non è stata né la prima né l’ultima crisi. A fronte di questo i 
compiti della sinistra sono enormi. Ma l’occasione del centenario della 
rivoluzione sta passando senza un minimo di riflessione. Sto tornando da
 una bella cittadina tedesca. Qui il cinema comunale ha una mesata di 
iniziative sull’anniversario. In Italia nulla, o quasi – di mio ho 
organizzato un paio di presentazioni di libri al casale Alba 2 a Roma 
con Giacché (5 novembre) e Rita di Leo (26 novembre). Eppure su un nuovo
 modello di sviluppo si dovrebbe tornare a ragionare. Il socialismo si è
 scontrato con molti problemi. Provo a citarne alcuni. Nel capitalismo 
la mano invisibile di Adam Smith, cioè il sistema dei prezzi, svolge una
 funzione di coordinamento delle decisioni di produzione, sebbene si sia
 rivelato non in grado di assicurare la piena occupazione e l’assenza di
 crisi. La pianificazione socialista è forse riuscita a evitare le crisi
 e assicurare la piena occupazione, ma a costo dell’efficienza 
economica. Come se ne esce? Possiamo andar oltre il modello 
socialdemocratico nordico – il modello più di successo che conosciamo, 
ma che non ha certo abolito il capitalismo? La piena occupazione, nel 
capitalismo come nel socialismo porta al rifiuto del lavoro. La maggior 
parte delle occupazioni sono alienanti (se non peggio). Se il posto di 
lavoro è sicuro la gente non lavora. Come se ne esce? E, infine, 
possiamo abolire le gerarchie? Assieme ai prezzi, le relazioni 
gerarchiche sono un mezzo per gestire flussi complessi di informazioni, e
 soffrono esse stesse di inefficienze. Nel capitalismo queste sono 
tenute sotto controllo dal mercato (chi è inefficiente chiude), e nel 
socialismo? Danno e beffa: gerarchie e per giunta inefficienti! 
Controllo democratico, mi direte: ma anche questo è lento e 
inefficiente. Su tutto questo si deve ragionare. Eppure è un dibattito 
antico, che partì nel 1908 quando un economista italiano (un grande 
marginalista), Enrico Barone, argomentò che il socialismo non poteva che
 funzionare come imitazione burocratica del mercato capitalista. Hayek 
argomentò più tardi che, allora, il mercato sarebbe stato più efficiente
 dell’imitazione. E poi c’è il presunto socialismo cinese su cui 
ragionare… Dov’è la sinistra?
 
															
									 
				
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