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Più sotto un'intervista a Abruzzo Web. Segue da Il manifesto una recensione di Michele Prospero. Qui i link ad alcune interviste:Radio Città del Capo, BolognaRadio Colonia (in italiano) versione ridotta andata in ondaversione integrale (molto critica della Germania) CRISI ISTITUZIONALE: INTERVISTA AL NOTO ECONOMISTA, ''COTTARELLI NEMICO DELLA GENTE, SENZA STATI SOVRANI DEMOCRAZIA A RISCHIO'' CESARATTO: ''IL PROBLEMA IN EUROPA E' LA GERMANIA, ITALIA RISCHIA FINE DELLA GRECIA'' Pubblicazione: 30 maggio 2018 di Filippo TroncaL'AQUILA - "Siamo in una situazione drammatica, con il debito alla mercé dei mercati. Non abbiamo un governo. La crisi è finanziaria ed istituzionale. Se lo spread impazzisce, il rischio è che saranno sospesi i diritti
Topics:
Sergio Cesaratto considers the following as important: Abruzzo web, Cesaratto, Cottarelli, euro, Europa, governo, Mattarella, Prospero, Radio Città del capo, Radio Colonia, Savona
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Più sotto un'intervista a Abruzzo Web. Segue da Il manifesto una recensione di Michele Prospero. Qui i link ad alcune interviste:
Radio Città del Capo, Bologna
Radio Colonia (in italiano) versione ridotta andata in onda
versione integrale (molto critica della Germania)
CRISI ISTITUZIONALE: INTERVISTA AL NOTO ECONOMISTA, ''COTTARELLI
NEMICO DELLA GENTE, SENZA STATI SOVRANI DEMOCRAZIA A RISCHIO''
CESARATTO: ''IL PROBLEMA IN EUROPA E' LA
GERMANIA, ITALIA RISCHIA FINE DELLA GRECIA''
L'AQUILA - "Siamo in una situazione drammatica, con il debito alla mercé dei mercati. Non abbiamo un governo. La crisi è finanziaria ed istituzionale. Se lo spread impazzisce, il rischio è che saranno sospesi i diritti democratici, con l’arrivo della Troika, come accaduto in Grecia. E tutto ciò è la conferma del dominio tedesco in Europa, e di quanto poco democratica sia la zona euro".
Parole pesanti come pietre quelle di Sergio Cesaratto, professore ordinario di Economia della crescita e dello sviluppo, Politica monetaria e fiscale nell'Unione monetaria Europea, che insegna nel Dipartimento di Economia politica e Statistica dell'Università di Siena.
Abruzzoweb lo ha intervistato a poche ore dal fallito tentativo di formare un governo da parte di Lega e Movimento 5 stelle, e il gravissimo conflitto politico istituzionale esploso dopo il no del presidente della Repubblica Sergio Mattarella alla nomina di ministro dell'Economia di Paolo Savona, un "euroscettico". Mentre le agenzie battevano all'impazzata lanci sulle incertezze dopo l'incontro tra il premier incaricato, Carlo Cottarelli e Mattarella, che non si è concluso, clamorosamente, con il varo del nuovo governo. Senza peli sulla lingua, l'economista, bolla Cottarelli "nemico della gente", "la persona sbagliata al posto sbagliato".
Parole segnate sul taccuino mentre lo spread schizza intorno ai 300 punti base, terrorizzando banche e risparmiatori, si rincorrono voci sul ritorno al voto gia' a fine luglio, con conseguente panico dei parlamentari appena eletti che temono di perdere poltrona e lauto stipendio, si scatena la bufera a seguito delle affermazioni di Guenther Oettinger, commissario tedesco Ue al Bilancio, secondo cui "i mercati insegneranno agli italiani a votare per la cosa giusta", oppure, stando nella versione rivista e corretta, che però cambia di poco il succo del discorso, "lo sviluppo negativo dei mercati porterà gli italiani a non votare più a lungo per i populisti".
Cesaratto, nell'intervista, non nasconde la sua preoccupazione per lo scenario presente e soprattutto futuro, che confermerebbe, magra consolazione, quanto aveva scritto nel suo best seller "Sei lezioni di economia. Conoscenze necessarie per capire la crisi più lunga (e come uscirne)", giunto ormai alla sesta ristampa. Ovvero che l’Europa incardinata sulle politiche neoliberiste, sull'idolatria del pareggio in bilancio, sui massicci tagli alla spesa, sull’egemonia tedesca, non può reggere a lungo. E a pagarne il conto più drammatico potrebbe essere in primis l’Italia.
Sergio Cesaratto, come giudica le parole del commissario europeo al bilancio Guenther Oettinger?
Non ha fatto che confermare la linea tedesca secondo cui il debito pubblico italiano deve esser lasciato alla mercé dei mercati. Le sue parole sono la manifestazione di quanto l’Europa sia poco democratica, e di come la situazione sia estremamente grave, per responsabilità di molti.
Cosa sta accadendo in queste ore?
I mercati finanziari, i nostri creditori, sono preoccupati del futuro esito delle elezioni italiane. Il presidente della Repubblica Sergio Mattarella ha di fatto trasformato le elezioni in un referendum pro o contro l’euro. Forse è caduto nella trappola di Matteo Salvini, che proprio questo voleva, ma il risultato non cambia. Ritengo che Mattarella poteva andare a vedere le carte del nuovo governo, invece che porre veti, che sono risultati essere fatali.
Hanno sbagliato qualcosa Luigi Di Maio e Matteo Salvini?
Il "governo del cambiamento" avrebbe dovuto procedere con più cautela, anche mettendo in conto uno scontro con l’Europa. Andava preparato il terreno, non ci si può presentare con una lista della spesa di centinaia di miliardi senza indicare coperture, neanche fuori dall’euro puoi fare una cosa del genere, così alla leggera. Si sono anche spiegati male: chiedere il condono di 250 miliardi alla Banca centrale europea è stato un errore madornale: quello che si può fare, che è ammissibile, è il congelamento, che è anche una buona idea, non il condonare. Le parole sono importati, in partite così delicate.
L’Europa teme davvero una Italexit?
Ci si ragiona da anni su come si può uscire dall'Euro, non dico in modo indolore, ma almeno sostenibile. Che l’euro sia un errore ora è innegabile. Però ci sono cose che possono essere fatte anche dentro l’euro, oltre ad un "piano B", di uscita. Ci si può dare come obiettivo ad esempio lo stabilizzare il rapporto tra debito pubblico e prodotto interno lordo, chiedere cioè la garanzia alla Banca centrale europea di tassi di interesse bassi, in maniera compatibile con una politica fiscale espansiva. Un discorso che potrebbe essere tranquillizzante per i mercati, e che permetterebbe di attuare molte misure espansive.
Nel suo ultimo libro dall’eloquente titolo "Chi non rispetta le regole? Italia e Germania, le doppie morali dell’euro", lei invita a riflettere sul fatto che il pregiudizio degli italiani "scrocconi", che se "ne infischiano delle regole europee", che fanno debiti alle spalle dei virtuosi tedeschi, va rivisto alla radice. Quello che sta accadendo rafforza i suoi giudizi?
La Germania è la potenza dominante in Europa, non c’è dubbio che se qualcuno si azzarda ad uscire dall’euro loro scatenano ritorsioni commerciali. Hanno un potere molto forte.La verità è però che è proprio la Germania il problema dell’economia europea e anche mondiale: è un Paese che vende, ma che non compra, un paese mercantilista. Il loro obiettivo è il surplus di bilancio, ma questo è destabilizzante, il paese più forte dell’eurozona deve ‘tirare’ gli altri. L'euro in questi giorni si è deprezzato? Le esportazioni tedesche vanno ancora meglio. Lo spread italiano schizza in alto? Gli investitori vendono titoli italiani e comprano i titoli tedeschi, così i loro interessi calano. Del resto grazie ai minori interessi sul debito, la Germania ha avuto negli anni scorsi risparmi di spesa, per loro stessa ammissione, di oltre 100 miliardi di euro. Insomma, i tedeschi ci hanno guadagnato sempre.
L’Italia farà la fine della Grecia?
La situazione è drammatica, siamo alla mercé dei mercati, non abbiamo il governo. Se la crisi finanziaria si avvita, se lo spread continua salire, si sospenderanno il diritti decoratrici, Cottarelli dovrà accettare l'arrivo dei commissari della Troika, e facciamo la fine della Grecia. Interverrà unfatti la Banca centrale europea a garantire lo spread, ma in cambio la Troika imporra' politiche lacrime e sangue.
Ci sono alternative?
In Parlamento c'è una maggioranza uscita da libere elezioni, quella espressa da Lega e M5s. Queste due forze dovrebbero rivedicarlo, tornare in campo per impedire l'arrivo della Troika, ma l'alternativa sarebbe di fatto l'uscita dall'euro. E' prevedibile che si farà di tutto per non far vincere Lega e Movimento 5 stelle alle prossime elezioni, spaventando gli elettori. Come detto oramai siamo dentro un referendum Pro o contro euro.
Cottarelli è un uomo della Troika?
Certo che sì, totalmente. Da parte sua non c’è il minimo di apertura mentale nei confronti di politiche keynesiane. Per lui tutti i problemi sono dal lato dell’offerta, l’unica soluzione per lui è tagliare, ma il nostro Paese ha sofferto per troppi tagli, ora ha bisogno di spesa pubblica. Cottarelli è la persona sbagliata nel posto sbagliato. Per l’Europa, invece, ovviamente è lui la persona giusta.
Oramai contano più gli interessi di chi investe in finanza, rispetto ai bisogni dei cittadini?
È così da tempo, ma non è un destino ineluttabile. Se fossimo un’economia sovrana, potremo mettere controlli sui capitali, contrastare le speculazioni. Sono proprio i Cottarelli, la mentalità di quelli come lui ad averci portato a questo punto. Credo davvero che Cottarelli sia il nemico della gente, è un uomo del Fondo monetario internazionale, uno di quelli odiati nei Paesi in via di sviluppo perché con le loro politiche restrittive portavano povertà e miseria.
L’Italia può davvero ridurre il suo debito senza morire di troppa austerità?
Storicamente i debiti pubblici si riducono tramite bassi tassi di interesse, congiunti a crescita economica. L’altra strada è fallimentare, quella ovvero di ridurre il debito spendendo meno. Una ricetta che va bene per una famiglia, pero' la macroeconomia è un’altra cosa, funziona diversamente: se si spende di meno infatti il Pil cresce di meno. Del resto in tutti questi anni di politiche di austerity in Italia il rapporto debito-pil è passato dal 100 per 100 al 130 per 100. E non è corretto dire "nonostante i tagli draconiani di Mario Monti e di altri governi", ma proprio a causa di questi tagli.
Mercato e democrazia sono ancora compatibili?
Lo sarebbero nei sistemi economici che abbiamo vissuto dagli anni ‘50 a gli anni ‘70, in cui lo Stato controllava e guidava ancora i mercati. Dobbiamo ritornare ad un capitalismo guidato dalla Stato. Questo è un capitalismo selvaggio e finanziario che fa il bello e cattivo tempo. Serve la centralità dello Stato-nazione, che può intervenire nell’economia sul lato della domanda. Entità sovranazionali come l’Unione europea sono invece funzionali a svuotare gli stati nazionali del loro potere economico, minando così alle sue basi la democrazia
Europa, le contraddizioni della competitività
SAGGI. «Chi non rispetta le regole?», il libro di Sergio Cesaratto edito da Imprimatur
Il nodo di una valutazione storico-realistica dell’esperienza
dell’eurozona pare ormai ineludibile. Una riconsiderazione la impone
anche il duello distruttivo in corso tra tecnocrazie, che scontano una
crisi di consenso sociale sempre più accentuata verso la stagione
neoliberista, e populismi, che con simbologie ingannevoli si proclamano
gli autentici interpreti del vero sentire delle comunità invase da
religioni altre e oppresse da burocrati privi di ogni legittimità.
Quello che manca nel dibattito pubblico contemporaneo, proprio mentre i paesi più fragili precipitano sull’orlo di una grave crisi costituzionale, è una riflessione disincantata sul rendimento effettivo della architettura dell’Europa e, con essa, una chiara indicazione dei pilastri essenziali della riprogettazione di un altro modello politico e sociale.
Lo sforzo che Sergio Cesaratto porta avanti nel suo recente volume (Chi non rispetta le regole?, Imprimatur, pp.125, euro 14) ha il pregio di coniugare le categorie di un pensiero economico critico e le indicazioni di un approccio politico attento alle suggestioni del realismo che evita di assumere come plausibili mitici punti zero. In questo quadro, che è insieme critico e realistico, egli assume le regole sul serio, e ciò serve per svelare le ambiguità costitutive del modello, le aporie che ne scandiscono la genesi, e per mostrare il funzionamento distorto che esse hanno conosciuto per lunghi anni.
ADOTTATE originariamente con una certa dose di azzardo, riguardo l’effettiva ricaduta di taluni principi che imponevano ai diversi paesi una comune disciplina del vincolo esterno, le regole del gioco hanno mostrato nella loro esperienza empirica che l’eurozona doveva vedersela con il peso delle differenziazioni, del plusvalore di singole aree o nazioni. Cesaratto ritiene che i dati obiettivi rendano possibile indicare la sussistenza di regolarità funzionali ineludibili. Sotto il velo di ignoranza, che sempre accompagna il progetto delle origini, si nasconde la maturazione con il tempo di un rapporto asimmetrico in base al quale la confezione dei trattati e l’adozione della moneta unica si imbatte assai diversamente sulle compatibilità delle diverse economie e sul grado effettivo di influenza che la riserva agli Stati o alle economie più solide.
Il principio di potenza condona a taluni paesi la violazione di regole esistenti con la possibilità di reiterati scostamenti dai parametri che ad altri sono preclusi da una idolatria dei numeri sacri. E rende accettabile la condotta eccentrica del paese che impone ad altri sistemi economici un selettivo e costoso Berlino Consensus (mistica del rigore fiscale, politiche di bilancio restrittive) e che per sé ritiene opportuno convivere con un surplus di bilancio lucrato in esplicita contraddizione con i paletti concordati.
SU QUESTA REALE antinomia che vede la coesistenza di paesi centrali e di paesi periferici, i sovranisti inscenano i donchisciotteschi moti populistici. Al di là delle formule pittoresche, la realtà per Cesaratto è che «il modello tedesco è destabilizzante per le altre economie, le condanna a una eterna deflazione per evitare di essere sommerse dalle esportazioni tedesche e dai conseguenti debiti».
La proposta del libro è quella di sondare la riformabilità delle istituzioni comunitarie minate da una contraddizione scaturita dalla difficoltà di conciliare la realtà della «super competitività» tra le economie (dumping salariale) e il richiamo alla possibilità di momenti di cooperazione (politica economica, fiscale e monetaria). La necessità di un ripensamento delle regole del mercato della concorrenza operante in un quadro di istituzioni minime è rimarcata ormai da tutti.
C’è chi si limita ad adattamenti funzionali, con il completamento delle istituzioni della moneta unica, con fasi di ingegneria per l’unione bancaria e il monitoraggio dei fondi pubblici, per l’assicurazione sui depositi. Secondo Cesaratto occorre invece un «rinnovato riformismo progressista» che accantoni il «surreale Fiscal Compact» e determini politiche economiche continentali per il «recupero della domanda aggregata». L’alternativa è secca: o un «nuovo patto sociale per lo sviluppo» o l’implosione dell’eurozona.
1.6.2018
Quello che manca nel dibattito pubblico contemporaneo, proprio mentre i paesi più fragili precipitano sull’orlo di una grave crisi costituzionale, è una riflessione disincantata sul rendimento effettivo della architettura dell’Europa e, con essa, una chiara indicazione dei pilastri essenziali della riprogettazione di un altro modello politico e sociale.
Lo sforzo che Sergio Cesaratto porta avanti nel suo recente volume (Chi non rispetta le regole?, Imprimatur, pp.125, euro 14) ha il pregio di coniugare le categorie di un pensiero economico critico e le indicazioni di un approccio politico attento alle suggestioni del realismo che evita di assumere come plausibili mitici punti zero. In questo quadro, che è insieme critico e realistico, egli assume le regole sul serio, e ciò serve per svelare le ambiguità costitutive del modello, le aporie che ne scandiscono la genesi, e per mostrare il funzionamento distorto che esse hanno conosciuto per lunghi anni.
ADOTTATE originariamente con una certa dose di azzardo, riguardo l’effettiva ricaduta di taluni principi che imponevano ai diversi paesi una comune disciplina del vincolo esterno, le regole del gioco hanno mostrato nella loro esperienza empirica che l’eurozona doveva vedersela con il peso delle differenziazioni, del plusvalore di singole aree o nazioni. Cesaratto ritiene che i dati obiettivi rendano possibile indicare la sussistenza di regolarità funzionali ineludibili. Sotto il velo di ignoranza, che sempre accompagna il progetto delle origini, si nasconde la maturazione con il tempo di un rapporto asimmetrico in base al quale la confezione dei trattati e l’adozione della moneta unica si imbatte assai diversamente sulle compatibilità delle diverse economie e sul grado effettivo di influenza che la riserva agli Stati o alle economie più solide.
Il principio di potenza condona a taluni paesi la violazione di regole esistenti con la possibilità di reiterati scostamenti dai parametri che ad altri sono preclusi da una idolatria dei numeri sacri. E rende accettabile la condotta eccentrica del paese che impone ad altri sistemi economici un selettivo e costoso Berlino Consensus (mistica del rigore fiscale, politiche di bilancio restrittive) e che per sé ritiene opportuno convivere con un surplus di bilancio lucrato in esplicita contraddizione con i paletti concordati.
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C’è chi si limita ad adattamenti funzionali, con il completamento delle istituzioni della moneta unica, con fasi di ingegneria per l’unione bancaria e il monitoraggio dei fondi pubblici, per l’assicurazione sui depositi. Secondo Cesaratto occorre invece un «rinnovato riformismo progressista» che accantoni il «surreale Fiscal Compact» e determini politiche economiche continentali per il «recupero della domanda aggregata». L’alternativa è secca: o un «nuovo patto sociale per lo sviluppo» o l’implosione dell’eurozona.
1.6.2018