Cesaratto: “Governo del cambiamento? Solo se avrà il coraggio di scontrarsi con l’Ue” intervista a Sergio Cesaratto di Giacomo Russo Spena L’economista ha un giudizio interlocutorio, ma anche preoccupato, sul nuovo esecutivo: “C’è un problema di coperture finanziarie, fare sia la flat tax che il reddito di cittadinanza, oltre alla riforma della Fornero, sarà impossibile”. ...
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Cesaratto: “Governo del cambiamento? Solo se avrà il coraggio di scontrarsi con l’Ue”
“Non è certamente un governo progressista però sono curioso di capire se andrà a scontrarsi con Bruxelles. È lì che si gioca la partita”. In questi anni Sergio Cesaratto, economista e professore all’università di Siena, ha scritto libri, interventi e relazioni contro l’attuale assetto dell’Unione Europea. Adesso ha un giudizio interlocutorio, ma anche preoccupato, sul nuovo esecutivo. Se pensa che la cancellazione della riforma Fornero sulle pensioni sia giusta, dall’altra critica la flat tax: “È una redistribuzione del reddito dal basso verso l’alto: una misura che accresce l’ingiustizia sociale e, persino, la crisi finanziaria perché penalizza la domanda interna”. In sospeso rimane poi la battaglia cardine, quella con l’Europa.
Professore, partiamo dal contratto di governo siglato tra Salvini e Di Maio. Sono state fatte varie promesse ma, secondo lei, esistono le coperture finanziarie?
Il problema delle coperture finanziarie è reale, fare sia la flat tax che il reddito di cittadinanza, oltre alla riforma della Fornero, sarà pressoché impossibile. Farlo con l’aumento dell’IVA o peggio con tagli alla spesa sociale sarebbe socialmente iniquo e depressivo per la domanda interna. Non si capisce bene questo governo dove voglia precisamente andare.
Quindi siamo solo ad annunci propagandistici di Salvini e Di Maio?
Attenzione, il problema di recuperare risorse ce l’avrebbe un qualsiasi governo progressista che si prefissi di cambiare lo status quo ponendo al centro, ad esempio, gli investimenti e la politica industriale o la redistribuzione del reddito a favore delle classi lavoratrici oltre che incapienti. Va fatto un passo indietro. Quali politiche macroeconomiche vorremmo adottare affinché queste risorse emergano? Questo governo ha annunciato alcune proposte di spesa discutibili, senza ancora chiarire il lato macroeconomico che implica poi il punto di collisione con l’Europa.
Proprio le posizioni euroscettiche di Paolo Savona hanno aperto un braccio di ferro con il presidente Mattarella e, alla fine, Salvini e Di Maio hanno ceduto alla sua richiesta depennando Savona dal ministero dell’Economia. Pensa che questo governo abbia, comunque, il coraggio di battere i pugni a Bruxelles o sarà in linea con gli esecutivi precedenti?
È difficile prevederlo. Sicuramente agli Esteri, con Moavero, hanno scelto un profilo moderato. Il ministro Tria, invece, è un liberista con qualche tinta keynesiana. Però in fondo lo è anche Paolo Savona e non enfatizzerei un’opposizione tra i due. Ciò detto, insisto, non mi è ancora chiaro cosa questo governo vuol chiedere all’Europa. Non ci si può limitare all’alternativa secca che o si obbedisce ai vincoli europei o si rompe, pensando dunque all’uscita dalla moneta unica. Nelle varie prese di posizione del governo non sono per ora contemplate vie di mezzo, entro cui peraltro collocare le decisioni di finanza pubblica (discutibili nel merito). Questo mi preoccupa. Ma concediamo ancora qualche settimana al governo per chiarire il quadro.
Lei cosa chiederebbe all’Europa?
Beh, condivido una proposta che viene da lontano e sottoscritta da centinaia di colleghi nella “lettera degli economisti” del 2010, ma è un’idea ben più vecchia. L’obiettivo di un Paese come l’Italia, ad alto debito, dovrebbe essere la stabilizzazione del rapporto tra debito pubblico e Pil (non la sua riduzione, si badi). Con bassi tassi di interesse – che l’Europa ci deve assicurare – si può fare un po’ di deficit spending e far ripartire domanda interna e crescita. Siamo per dire all’Europa e ai mercati che ci impegniamo a stabilizzare quel rapporto in maniera compatibile con la ripresa della crescita del Paese.
Eh, nel concreto, come possiamo far aumentare la crescita?
La questione è cambiare i parametri dell’UE. Gli economisti sanno che se l’Europa si impegna ad andare verso l’annullamento dello spread tra titoli italiani e bond tedeschi, è possibile conciliare la stabilizzazione del rapporto debito-Pil e avere dei deficit primari (disavanzi al netto della spesa per interessi). Ciò dimostra che è possibile fare politiche fiscali espansive tenendo bloccato il rapporto debito-Pil.
Mi scusi, ma per annullare lo spread ci vorrebbe un intervento diretto della Bce. Lo trova possibile?
Quando Salvini e Di Maio scrissero nella bozza del contratto di governo che la Bce deve annullare il debito di 300 miliardi, si espressero malissimo, generando confusione. La proposta, per esempio, di Wyplosz, che è uno dei più noti economisti europei, prevede che la Bce mantenga in grembo questi titoli e non li rimetta nel mercato. Già così abbiamo eliminato il 10% e oltre del debito pubblico italiano. Quindi, innanzitutto, a Bruxelles va fatta una proposta: l’Ue cominci a fare misure per annullare lo spread, in cambio l’Italia si impegna a non aumentare il rapporto debito/Pil. Questo permette deficit spending e crescita economica. Tutto questo ragionamento mi pare assente nel nuovo governo, siamo schiacciati tra il profilo moderato di Moavero e la (presunta) proposta no-euro di Savona. Bagnai lo conosce benissimo, tuttavia.
Nel suo recente libro (“Chi non rispetta le regole? Italia e Germania le doppie morali dell’euro”, Imprimatur editore) ha mosso fortissime critiche all’Unione Europea e ha spiegato come l’europeismo ordoliberista non sia altro che una forma estrema di nazionalismo della potenza dominante, ovvero la Germania. È una boutade dire che siamo una colonia di Berlino?
Non so se noi siamo definibili come colonia, ma certamente la classe dirigente tedesca è molto nazionalista, oltre che ottusa e arrogante.
Se questo è il quadro, può esserci un margine di trattativa con Bruxelles? L’Europa si può cambiare da dentro?
La Germania ha detto no alle proposte di Macron, pur essendo molto minimali. Figuriamoci se accetta una proposta come questa avanzata della stabilizzazione del rapporto debito/Pil, del tutto ragionevole ma che ai tedeschi sembrerà orribile. È tuttavia una regola del gioco dell’unione monetaria: il Paese più forte deve avere un’inflazione più forte. Questo permette di dare respiro ai paesi più deboli.
E allora?
È interessante che il premier francese sia stato il primo a telefonare a Conte, nel momento del primo incarico cercando una sponda ai tavoli di trattative per una riforma dell’unione monetaria e per contrastare i nein tedeschi. È fondamentale che Italia e Francia (e forse la Spagna di Pedro Sánchez) ribaltino la narrazione europea, mostrando che è la Germania che la sta facendo esplodere rifiutando le riforme. Poi, certo, se fallisse il piano A rimane sempre il piano B.
Ricapitolando: consiglia al governo di giocarsi la partita su due piani. Il piano A consiste nel rinegoziare i vincoli con Bruxelles, e il piano B in cosa consiste?
Non si può morire per l’Europa, come extrema ratio sono per il recupero della piena sovranità monetaria. E ciò non ha niente a che vedere col nazionalismo di destra, ha a che fare con la nostra democrazia.
Si definisce un sovranista?
È un termine che non utilizzo perché è diventato sinonimo di nazionalista. Non mi piace. Mentre penso che “Stato nazionale” sia sinonimo di autogoverno e democrazia. Chi non lo comprende è un liberista, anche se mascherato da internazionalista.
Ritorniamo al piano B. Lei rimane sempre e comunque contrario all’uscita dall’euro?
Entrare nella moneta unica è stato un errore, ormai lo dicono in molti. Ma, una volta dentro – grazie soprattutto all’Ulivo e ai suoi esponenti – è difficile adesso uscirne. Credo sia l’extrema ratio. I problemi sono molti. Nel breve periodo c’è da ripristinare il sistema dei pagamenti (con cui le banche operano eseguendo i nostri ordini di pagamento), se l’Europa ci tagliasse fuori dal famoso Target 2. Può darsi che la cosiddetta moneta fiscale sia una preparazione surrettizia di un sistema dei pagamenti alternativo e della stampa di nuove banconote. Nel lungo periodo i problemi sono il debito estero non ridenominabile in lire, incluso gran parte del debito pubblico, e le possibili ritorsioni commerciali. Ma nel caso di una accentuazione della crisi (magari perché il governo disubbidisce ai diktat), a un aiuto europeo e alla Troika in casa, preferibile l’uscita che fare la fine della Grecia.
Un’ultima domanda: l’economista Emiliano Brancaccio, in una intervista sul nostro sito, ha proposto di applicare l’articolo 65 del Trattato di funzionamento dell’Unione Europea per bloccare le fughe di capitale e tenere a bada le scorribande degli speculatori. È d’accordo?
Un qualsiasi Stato
sovrano e progressista come primo provvedimento adotta il controllo dei
movimenti di capitale. Non a caso Margaret Thatcher, quando andò al
governo nel 1979, come primo atto smantellò questo controllo. Però la
proposta di cui parla mi pare estemporanea e poco strutturata.
Esattamente, di che cosa stiamo parlando? Controllare i capitali dei
residenti o anche dei non residenti? Dobbiamo congelare i capitali
stranieri investiti nei titoli pubblici italiani? Dubito che il
menzionato articolo 65 lo permetta facilmente. Mi sembra che misure di
questo tipo siano parte di un percorso di ripresa della sovranità
monetaria. Allora questo contesto va specificato, sennò si lanciano solo
slogan ad effetto che aiutano poco.