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Pubblichiamo intervista di Daniele Capezzone per il quotidiano La Verità.La Verità. Intervista al professor Cesaratto Pubblicato da DANIELEil16 DICEMBRE 2019 Sergio Cesaratto è professore ordinario presso il dipartimento di Economia politica dell’Università di Siena. E’ tra i 32 docenti universitari, prevalentemente di sinistra, firmatari dell’appello anti Mes di cui La Verità ha parlato per prima, e che poi è stato citato nell’Aula del Senato da Matteo Salvini. Il professor Cesaratto è tra l’altro autore del volume “Sei lezioni di economia” (edizioni Diarkos), di cui è in corso la traduzione in inglese per le edizioni Springer. Professore, ci riassume il senso dell’appello? “Le motivazioni sono diverse tra i vari firmatari, e questo è un fatto in sé positivo: c’è chi crede
Topics:
Sergio Cesaratto considers the following as important: 16 dicembre 2019, Capezzone, Cesaratto, Europa, intervista, La Verità, MES
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Pubblichiamo intervista di Daniele Capezzone per il quotidiano La Verità.La Verità. Intervista al professor Cesaratto Pubblicato da DANIELEil16 DICEMBRE 2019 Sergio Cesaratto è professore ordinario presso il dipartimento di Economia politica dell’Università di Siena. E’ tra i 32 docenti universitari, prevalentemente di sinistra, firmatari dell’appello anti Mes di cui La Verità ha parlato per prima, e che poi è stato citato nell’Aula del Senato da Matteo Salvini. Il professor Cesaratto è tra l’altro autore del volume “Sei lezioni di economia” (edizioni Diarkos), di cui è in corso la traduzione in inglese per le edizioni Springer. Professore, ci riassume il senso dell’appello? “Le motivazioni sono diverse tra i vari firmatari, e questo è un fatto in sé positivo: c’è chi crede
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Pubblichiamo intervista di Daniele Capezzone per il quotidiano La Verità.
La Verità. Intervista al professor Cesaratto
Sergio Cesaratto è professore ordinario presso il dipartimento di Economia politica dell’Università di Siena. E’ tra i 32 docenti universitari, prevalentemente di sinistra, firmatari dell’appello anti Mes di cui La Verità ha parlato per prima, e che poi è stato citato nell’Aula del Senato da Matteo Salvini. Il professor Cesaratto è tra l’altro autore del volume “Sei lezioni di economia” (edizioni Diarkos), di cui è in corso la traduzione in inglese per le edizioni Springer.
Professore, ci riassume il senso dell’appello?
“Le motivazioni sono diverse tra i vari firmatari, e questo è un fatto in sé positivo: c’è chi crede di più nel progetto europeo, e chi invece è scettico. Ma è rilevante che tanti economisti democratici – se posso usare questa definizione – si siano ritrovati nel denunciare il Mes, che non fa nulla per alleviare i problemi che già ci sono, in particolare quelli italiani. Anzi, perpetua e aggrava un contesto in cui il nostro debito pubblico è esposto, per così dire, agli umori dei mercati”.
Non trova curiosa (Verità a parte) la scarsa eco mediatica riservata a questa iniziativa? In altre situazioni, quando docenti con una storia di sinistra scrivono un testo, se ne discute per giorni interi sui mainstream media…
“Beh, evidentemente ci si è sentiti infastiditi dal fatto che docenti prevalentemente orientati a sinistra (alcuni probabilmente non lontani dal Pd) si siano coraggiosamente esposti nel criticare e nel sollecitare una discussione pubblica…Vede, bisogna ribaltare la prospettiva”
In che senso?
“Siamo in presenza di istituti che in qualche misura preludono a una crisi, o fanno capire che un default può esserci. Invece occorrerebbe far presente che gli Stati Uniti, ad esempio, non hanno questi meccanismi: e si tratta per dimensione di un metro di paragone importante, di un’unione monetaria che funziona”
E’ corretto dire che la riforma del Mes rende la ristrutturazione del debito di un paese in crisi non più una circostanza eccezionale, ma un evento più probabile, con tutti i pericoli del caso?
“Sì. E’ vero che non c’è automatismo, ma è altrettanto vero che, in una situazione grave, una richiesta di ristrutturazione verrebbe avanzata, e probabilmente imposta dallo stesso Mes (anche se l’ultima parola è alla Commissione). La probabilità di questo evento aumenta, e non è un buon segnale. Abbiamo un precedente, del resto, ed è la ‘passeggiata’ di Merkel e Sarkozy, nell’autunno 2010, quando si fece capire che ogni salvataggio futuro sarebbe stato subordinato a ristrutturazioni del debito. Ricordiamo le conseguenze, dall’Italia alla Spagna…”
E per quale arcana ragione un paese a debito alto dovrebbe infilare la testa in questo cappio?
“Mettiamola così. Tutti nella vita abbiamo vissuto discussioni (in una riunione di condominio o in una commissione) in cui ci si trova dinanzi a una specie di muro, quando cioè gli altri ti dicono no. Un grande economista come Albert Hirschman scrisse il saggio ‘Exit, voice and loyalty’ per dire che hai tre possibilità: alzare la voce, oppure cedere, oppure andartene. Purtroppo l’Italia, da Monti in poi, in Europa è stata molto accondiscendente. E’ pur vero che in Europa non è facile smuovere le cose: se ti dicono di no, che fai?”
Vorrei sollecitarla su quello che chiamerei “principio di precauzione”: in uno scenario globale imprevedibile, nessuno può sapere se e quando scatterà una crisi. A maggior ragione, non c’è il rischio che la mera eventualità che un paese faccia ricorso a un programma di questo tipo determini l’avvitamento di una crisi?
“Assolutamente, questo è uno dei rischi che indichiamo nel documento. Il Mes può rendere una prospettiva ‘autoavverante’, un po’ come nella famosa legge di Murphy: ‘Se qualcosa può andar male, lo farà’. E’ proprio una dinamica di questo tipo che va evitata”
Lei accennava prima che negli Usa si sono premuniti contro questo tipo di effetto
“Gli Stati Uniti sono un’unione monetaria funzionante. Anche lì ci sono vincoli di bilancio degli stati locali, ma – attenzione – non c’è nessun Mes, non c’è una struttura di soccorso degli stati locali”
Ci spieghi bene che succede in quel contesto
“Intanto, lì c’è un cospicuo bilancio federale che è pronto a fare politiche anticicliche: se l’economia va male, fa disavanzo. E poi svolge una funzione redistributiva dagli stati più ricchi a quelli più poveri”
E se qualche stato locale va in default o in crisi, come pure è successo?
“E’ vero che Washington non interviene, ma è pur vero che scattano degli automatismi fiscali: lo stato paga meno imposte a Washington e riceve più sussidi. E poi c’è un punto di fondo: quando c’è una recessione, è Washington che se ne occupa. Qui in Europa, invece, tocca agli stati nazionali farvi fronte, perché Bruxelles non lo fa e non ne ha gli strumenti…”
La riforma del Mes cambia le aspettative degli investitori? Se si avvicina una crisi e so che ci sono paesi -per così dire – di serie A e di serie B, è evidente che per i titoli di questi ultimi chiederò rendimenti elevatissimi…
“Soprattutto se so che c’è la prospettiva di una ristrutturazione del debito. Si potrebbe obiettare: c’era già con l’attuale Mes. Ma qui l’ipotesi viene rafforzata, anche dando un po’ più poteri di prima alla struttura tecnocratica del Mes e un po’ meno alla Commissione. E in più diciamolo chiaramente: il tema è l’Italia…”
Sia esplicito
“La logica è quella di costringere sempre di più l’Italia a politiche restrittive che invece non possiamo permetterci. E non solo per gli effetti sociali che si determinerebbero, ma anche perché sarebbe un cane che si morde la coda, nel senso che peggioreremmo anche il rapporto debito/Pil”
Come giudica il comportamento delle personalità (dal governatore Ignazio Visco a Carlo Cottarelli, passando per Giampaolo Galli e la dottoressa Maria Cannata) che prima hanno espresso criticità pesanti sulla riforma del Mes, e poi sono sembrate tornare sui loro passi? E’ così difficile disallinearsi da una certa ortodossia?
“Evidentemente sì. Non voglio pensare che siano stati tutti – per così dire – richiamati all’ordine, ma è molto probabile. Semmai, la sorpresa è stata il fatto che si siano esposti criticamente, almeno in prima battuta…”
Ormai sembra chiaro che Giuseppe Conte diede il suo assenso fece a fine giugno contro il mandato parlamentare ricevuto il giorno 19 di quel mese…
“Guardi, c’è un problema di fondo nel rapporto tra governo e Parlamento, e nella mancanza – spesso – di un dibattito adeguato su queste scelte. Ma c’è un problema ancora più decisivo, e cioè l’assurda complessità dei meccanismi europei”
Complessità che rende tutto più difficile e meno limpido, intuisco…
“Da Maastricht in poi, pensi a tutto ciò che è stato messo in campo: Fiscal compact, Six pack, Two pack, e così via…Cose complicatissime anche per gli addetti ai lavori. Una massa di misure che mostrano quest’Ue come un pastrocchio: una pezza di qua, una toppa di là, come se la ‘creatura’ stesse sempre sul punto di esplodere. Quando invece occorrerebbe semplificare, anziché complicare ancora. Tutto ciò crea effetti di antidemocraticità, perfino al di là delle singole volontà individuali”
Molti euroentusiasti sono scettici in ogni altro aspetto della loro vita (ed è un complimento). Ma quando invece si tocca l’Ue, diventano dogmatici, e rispondono con formule da catechismo. Come spiega questo atteggiamento psicologico?
“In effetti è curioso: siamo davanti a una specie di dottrina acritica. Pensi alla frase ‘L’Europa è il nostro destino’: mi sembrano parole vuote e retoriche. Semmai, il realismo politico (da Tucidide a Machiavelli a Hobbes) dovrebbe suggerirci di essere cauti. L’Europa è fatta di nazioni, ciascuno persegue il suo interesse. Quando sento parlare di ‘solidarietà europea’, vogliamo parlare di ciò che accade in Libia? A sinistra poi il ‘progetto europeo’ ha sostituto quello socialista.”
Nella discussione pubblica, non si può suggerire l’uscita dall’Ue né dall’euro. Non si può nemmeno chiedere meno Europa o eccepire sulle modalità tecniche di un trattato come il Mes. Ma allora che possono fare i cittadini?
“A sinistra, purtroppo, viene brandito una specie di ‘ricatto’, del tipo: ‘Ma allora aiuti Salvini’. E invece no. Pensi ai firmatari di questo documento: a molti di noi non sono certo graditi tanti aspetti della politica di Salvini. E io credo che dovremmo indicare certe sue contraddizioni, e al tempo stesso togliergli alcune parole d’ordine che invece dovrebbero essere usate a sinistra. Mi spiego: Corbyn ha perso nel Regno Unito soprattutto perché è stato tremendamente ambiguo su Brexit. Ecco, io penso che la sinistra rischi di autodistruggersi per paura di sposare parole d’ordine che invece la renderebbero più vicina e riconoscibile alla gente”.