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Il governo M5s-Pd non sia un “Monti-Bis”

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Il mio articolo su Il Fatto quotidiano (20 agosto 2019) col buon titolo redazionale: Il governo M5s-Pd non sia un “Monti-Bis”. Ecco la versione originale: Chi scrive non ha avuto un atteggiamento pregiudizialmente ostile verso il governo giallo-verde. Ricordiamoci qual era l’alternativa PD: un’impostazione liberista e succube dell’Europa. Se il governo non è stato fortunato dal punto di vista della congiuntura internazionale, esso non ha tuttavia brillato per visione strategica, in particolare il M5S. La Lega una visione infatti ce l’ha: quella del laissez faire, che la rende omogenea a Berlusconi. Sull’euro il governo non ha partorito proposte, se non qualcosa per mano del prof. Savona, quand’era ministro. Salvini si è limitato a battibeccare col Moscovici di turno.  Un anno di

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Il mio articolo su Il Fatto quotidiano (20 agosto 2019) col buon titolo redazionale: Il governo M5s-Pd non sia un “Monti-Bis”. Ecco la versione originale:


Chi scrive non ha avuto un atteggiamento pregiudizialmente ostile verso il governo giallo-verde. Ricordiamoci qual era l’alternativa PD: un’impostazione liberista e succube dell’Europa. Se il governo non è stato fortunato dal punto di vista della congiuntura internazionale, esso non ha tuttavia brillato per visione strategica, in particolare il M5S. La Lega una visione infatti ce l’ha: quella del laissez faire, che la rende omogenea a Berlusconi. Sull’euro il governo non ha partorito proposte, se non qualcosa per mano del prof. Savona, quand’era ministro. Salvini si è limitato a battibeccare col Moscovici di turno.  Un anno di questa coalizione è alla fine costato un bel po’ in termini di maggiori interessi sul debito pubblico. A sinistra qualcuno ritiene che Salvini sia l’unico in grado di portarci fuori dall’euro, ma non so proprio se Giorgetti o la nuova alleanza col cavaliere lo consentiranno, e dubito che basterà stampare un po’ di mini-Bot per facilitare l’uscita.

Salvini è stato abile a costruirsi un’immagine di difensore della sovranità sul tema degli immigrati, assai meno su quello dell’Europa. Ciò che temo è che, comunque, la nuova fase politica che si può aprire ruoti attorno alla contrapposizione fra europeisti (M5S e PD) e sovranisti (Lega e FdI) laddove, peraltro, i due fronti condividono il liberismo, più regolato e attento ai conti gli uni, più selvaggio e disinvolto sui conti gli altri.
Il M5S e la “sinistra” hanno compiuto un errore storico a lasciare a Salvini la bandiera della sovranità che, ben declinata, non ha a che fare col nazionalismo e riguarda invece la difesa delle prerogative democratiche di un Paese. Si vota infatti per due motivi: diritti civili e diritti sociali (in primis la piena occupazione). Scelte effettive con riguardo ai diritti sociali implicano che un Paese possegga le leve della politica monetaria. Questa è andata persa con l’adozione dell’euro e la democrazia italiana si è così ridotta al dibattito sui diritti civili. E infatti il battibecco sui temi sociali è fra capponi di Renzo tenuti ben stretti dalla mano europea, senza che nessuno, da ultimo, abbia gli strumenti per attuare le proprie proposte. Quando a sinistra parliamo di sovranità democratica perduta, questo intendiamo. Priva di argomenti, la “sinistra” extra-PD, ci dà del rosso-brunismo, accusa del tutto fuori luogo, e ci dice che l’obiettivo deve essere di cambiare l’Europa. Su questo dobbiamo essere chiari.
Già dagli anni cinquanta l’analisi economica sconsigliava un’unificazione monetaria europea in quanto: a) la Germania persegue un modello economico mercantilista, basato sul vendere e non comprare, incompatibile con tale unione; b) i popoli europei, sebbene vogliosi di superare secoli di guerre, non hanno alcun desiderio di un assetto federale all’americana, in cui un cospicuo budget federale assicura una funzione anticiclica e la perequazione tendenziale degli standard di vita fra i Paesi, rendendo l’unione politicamente sostenibile.  Se non ho mai ricevuto dai federalisti obiezioni sensate a questo ragionamento, so invece per certo che la Corte Costituzionale tedesca ha fatto chiaramente intendere che ogni cessione di sovranità fiscale a Bruxelles sarebbe anti-costituzionale - dunque un veto a un budget federale significativo. Questi sono i fatti, e gli ideali europeisti sono alimento per politicanti in cui la retorica fa premio sulla realtà, o che sono al servizio dei poteri europei (gli Enrico Letta per capirci).
Una volta dunque ammesso che con l’Europa si deve trattare, dirimente è lo spirito politico con cui lo si fa: pronti a chinare il capo all’europeismo, o spinti dalle ragioni e sofferenze del proprio Paese? La prima ragione che un possibile governo di intesa democratica dovrebbe rivendicare è che l’Italia lungi dall’essere stata fiscalmente indisciplinata è da decenni campione di rettitudine fiscale. Sfortunatamente tale rettitudine ha depresso crescita e benessere. L’Italia ha allora bisogno di invertire il segno della politica fiscale per crescere. Questo è possibile con tassi di interesse sul debito pubblico sufficientemente bassi e mettendo da parte l’ossessione del rapporto debito/PIL (che potrebbe essere stabilizzato al livello corrente, dato che non esiste un numero magico al riguardo). Tassi più bassi, quelli di cui godono Germania e Francia, possono essere ottenuti con opportune iniziative europee – le proposte sono molte, incluse quelle del prof. Savona. In una fase di recessione mondiale, il governo dovrebbe anche a gran voce sostenere politiche fiscali espansive in tutta l’UE, finendola con le politiche di svalutazione dell’euro che hanno scatenato le ire di Trump.  Un possibile governo di intesa democratica dovrebbe utilizzare il potere di negoziazione che gli deriva dal ruolo di ultima spiaggia prima di una maggioranza neo-autoritaria, e dal fatto che la crisi globale chiama l’UE a una maggiore responsabilità. L’errore esiziale sarebbe lasciare a Salvini l’iniziativa su questi come su altri temi.
Sergio Cesaratto
Sergio Cesaratto (Rome, 1955) studied at Sapienza, where he graduated under the direction of Garegnani in 1981 and received his doctorate in 1988. He obtained a Master's degree in Manchester in 1986. He worked as a researcher at CNR where he was of Innovation Economics. In 1992 he became a researcher at La Sapienza, and then associate professor in Siena where he teaches Economic Policy and Development Economics.

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