Summary:
Le Sei lezioni di economia sono state tradotte in spagnolo dagli amici argentini e verranno presto pubblicate. Sperabilmente seguirà un'edizione per la Spagna. Pubblichiamo l'introduzione all'edizione argentina che fa il punto della situazione economico-politica a due anni dall'uscita del libro. Introduzione all’edizione argentina Sergio Cesaratto Questo libro è nato in un particolare momento storico per l’Italia. L’elevato tasso di sviluppo economico del secondo dopoguerra è andato nei decenni affievolendosi sino alla recente crisi europea e alle successive assurde politiche adottate che hanno lasciato il Paese più impoverito, sfiduciato, invecchiato e non solo in un senso demografico. Questi anni di crisi hanno tuttavia stimolato migliaia di persone, in particolare
Topics:
Sergio Cesaratto considers the following as important: Argentina, Cesaratto, Crisi, Economia, euro, Europa, Germania, Imprimatur, Lega, M5S, Sei lezioni, Sraffa, traduzione spagnola
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Le Sei lezioni di economia sono state tradotte in spagnolo dagli amici argentini e verranno presto pubblicate. Sperabilmente seguirà un'edizione per la Spagna. Pubblichiamo l'introduzione all'edizione argentina che fa il punto della situazione economico-politica a due anni dall'uscita del libro. Introduzione all’edizione argentina Sergio Cesaratto Questo libro è nato in un particolare momento storico per l’Italia. L’elevato tasso di sviluppo economico del secondo dopoguerra è andato nei decenni affievolendosi sino alla recente crisi europea e alle successive assurde politiche adottate che hanno lasciato il Paese più impoverito, sfiduciato, invecchiato e non solo in un senso demografico. Questi anni di crisi hanno tuttavia stimolato migliaia di persone, in particolare
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Sergio Cesaratto considers the following as important: Argentina, Cesaratto, Crisi, Economia, euro, Europa, Germania, Imprimatur, Lega, M5S, Sei lezioni, Sraffa, traduzione spagnola
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Le Sei lezioni di economia sono state tradotte in spagnolo dagli amici argentini e verranno presto pubblicate. Sperabilmente seguirà un'edizione per la Spagna. Pubblichiamo l'introduzione all'edizione argentina che fa il punto della situazione economico-politica a due anni dall'uscita del libro.
Introduzione all’edizione argentina
Sergio Cesaratto
Questo libro è nato in un particolare
momento storico per l’Italia. L’elevato tasso di sviluppo economico del secondo
dopoguerra è andato nei decenni affievolendosi sino alla recente crisi europea
e alle successive assurde politiche adottate che hanno lasciato il Paese più
impoverito, sfiduciato, invecchiato e non solo in un senso demografico. Questi
anni di crisi hanno tuttavia stimolato migliaia di persone, in particolare
giovani, a cercare di capire le ragioni economiche della crisi e delle
politiche adottate. Sono stati, in sintesi, gli anni di una riscoperta di massa
di Keynes.
Questa consapevolezza di massa si è diffusa, com’è ovvio, attraverso
i social network ed i blog. La
diffusione delle idee della Modern Monetary
Theory (se ne parla nella quarta lezione) hanno contribuito a questa presa
di coscienza, così come i libri e il blog di Alberto Bagnai, docente di
economia e ora Presidente della Commissione bilancio del Senato. Il lavoro
divulgativo di economisti eterodossi come me si è intensificato sin dal 2009.
Il pericolo era, tuttavia, che la diffusione delle analisi economiche
keynesiane, pur importante per la critica alle politiche economiche monetariste
prevalenti in Europa, non fosse accompagnata da una cognizione più profonda
della critica dell’economia politica dominante che gli economisti eterodossi
conducevano da svariati decenni, anche indipendentemente dalla lezione
keynesiana. L’analisi economica eterodossa, pur minoritaria, è però molto
composita. Nel suo ambito mi sembra che la scuola più rigorosa e completa sia
quella che si rifà alla lezione di Piero Sraffa. Il rigore di Sraffa è
leggendario, e la sua impronta rimane sulla scuola. La completezza deriva dal
fatto che l’impostazione sraffiana provvede, nella sua pars destruens, a una
critica analitica esauriente della analisi neoclassica (o marginalista come
preferiremo dire) dominante, mentre nella sua pars construens propone sia una
teoria dei prezzi e della distribuzione del reddito alternativa a quella
dominante, che un’analisi della determinazione di livello e crescita del
reddito che perfeziona quella keynesiana. Le prime tre lezioni sono dunque
finalizzate a presentare in termini accessibili questa impostazione.
L’obiettivo finale del libro rimane tuttavia quello di dotarsi degli strumenti
per comprendere la crisi europea e per criticare le relative politiche
economiche. Questi strumenti sono naturalmente utilizzabili in altri contesti
regionali. Attraverso la quarta lezione dedicata alla moneta, e in particolare
alla sua concezione “endogena” che accomuna economisti eretici e banchieri
centrali, ci si avvicina alle politiche economiche, e in particolare monetarie,
adottate in Europa dal 2008. Le politiche monetarie sono state le sole
concretamente attivate nell’Unione Monetaria Europea per contrastare la crisi, seppure con un significativo
ritardo compensato successivamente dall’attivismo di Draghi. La politica
fiscale ha invece remato contro. Le ultime due lezioni sono dunque destinate a
rendere accessibili i principali eventi che hanno riguardato l’Unione monetaria
europea, e le ragioni che rendono difficile preconizzare un serio cambiamento
in direzione keynesiana del vecchio continente.
Il libro ha avuto un ottimo risultato
di mercato, con tre ristampe (finora) e un’edizione economica prevista per il
prossimo anno. Cos’è cambiato nella situazione europea dalla sua pubblicazione
nel settembre 2016?
La previsione di alcuni di una
reazione populista a decenni di politiche neoliberiste si è avverata, in Europa
con la Brexit e la vittoria nelle elezioni italiane di Movimento Cinque Stelle
e Lega; negli Stati Uniti con la vittoria di Trump. “El momento Polanyi” ho definito questi eventi
(un’espressione che è piaciuta molto al mio amico spagnolo Manolo Monereo,
grande intellettuale e deputato di Podemos).[1]
Come nelle aspettative di Polany, tuttavia, non è stata la sinistra a guidare
la protesta elettorale, bensì la destra. La sinistra italiana - ma anche in altri
Paesi - se da un lato appare sempre più debole, dall’altro è lacerata al suo
interno fra chi è attaccato agli ideali di internazionalismo e cosmopolitismo,
e chi invece, senza rinnegare quegli ideali, ha riscoperto l’importanza della
sovranità nazionale come difesa della democrazia popolare. Mio maestro in
questo è stato Massimo Pivetti che già in tempi non sospetti ha denunciato il
disegno europeo come sottrazione degli strumenti di politica economica ai
singoli Paesi, e dunque come svuotamento del conflitto distributivo e dunque
della democrazia. Pensare a una democrazia sovranazionale fra Paesi molto
diversi, in primo luogo economicamente, vuol dire assecondare questo disegno
liberista. Piaccia o meno, persino le classi lavoratrici di Paesi a diversi
livelli di sviluppo non sono disponibili a condividere il proprio benessere. La
destra questo l’ha capito e lo strumentalizza a proprio vantaggio (che non coincide
con gli interessi dei ceti popolari). La sinistra tradizionale non l’ha capito
e predica un solidarismo inviso alla gente e che la rende impopolare e l’espone
all’accusa di essere espressione di sole élite cosmopolite.
Dall’avvio del Quantitative Easing l’economia europea ha visto una fase di recupero,
ma con differenze significative fra i Paesi. L’Italia è in particolare
risultata il fanalino di coda della ripresa. Più ligia di altri Paesi al rigore
fiscale, l’Italia avrebbe necessità di un forte rilancio della domanda interna.
Questo sarebbe possibile, come argomento nel mio nuovo libro,[2]
se la Banca Centrale Europea assicurasse un pieno sostegno ai titoli di Stato
italiani abbassandone il rendimento a livelli di quelli tedeschi, ciò che
consentirebbe una moderata politica di spesa in disavanzo senza aggravare il
già elevato rapporto debito pubblico/PIL. In assenza della possibilità di
svalutare la propria moneta, sarebbe anche necessaria all’Italia una forte
espansione europea tirata dalla Germania.
Purtroppo Berlino ha invece
accentuato le sue politiche restrittive conseguendo addirittura avanzi di
bilancio fiscale, mentre i suoi surplus di bilancia dei pagamenti hanno
raggiunto livelli grotteschi (usando l’aggettivo utilizzato al riguardo già
negli anni cinquanta da un commentatore), scatenando così le comprensibili ire
di Donald Trump. Il presidente francese Macron ha nel frattempo avanzato delle
timide proposte di riforma dell’Eurozona a cui si è contrapposto un fermo nein della Germania. L’attuale
compromesso sul tappeto consiste solo di un irrigidimento delle regole fiscali.
L’Italia è ovviamente su una posizione di rifiuto.
Mentre scrivo, il nuovo governo
italiano (M5S più Lega) è schizofrenico fra le garanzie che intende dare
all’Europa sui conti pubblici, e le costose promesse elettorali, anch’esse
schizofreniche: il M5S sostenitore del “reddito di cittadinanza” e la Lega
della “flat tax”. Anche se economisti critici dell’Europa monetaria hanno
importanti incarichi ministeriali, ancora nessun piano alternativo a quelli
franco-tedeschi è stato avanzato da questo governo, la cui popolarità è
tuttavia cresciuta per le istanze anti-immigrazione del leader della Lega. La
sinistra sta cadendo nella trappola di contrastare il governo su questo tema,
rendendosi così ancor più impopolare, invece di incalzarlo sui temi economici e
sociali. Con la fine del Quantitative
Easing e la sostituzione di Draghi il prossimo anno l’Italia rischia
grosso. Ma la sinistra, invece di contestare l’Europa pressando il governo a
una organica opposizione alle politiche europee, sembra tifare per Bruxelles.
Sarebbero tempi interessanti, se accadessero in un altro Paese e non nel
proprio. Gli amici argentini mi capiscono molto bene.
Roma, 11 agosto 2018
(grazie a Giancarlo Bergamini per la solita assistenza editoriale)
(grazie a Giancarlo Bergamini per la solita assistenza editoriale)